Sbaglia chi pensa che Putin si fermerà all'annessione dell'Ucraina, scrive il Figaro
La sfida lanciata dal progetto di restaurazione dell’impero sovietico è una minaccia mortale per le conquiste della democrazia in Europa
Invadendo lo scorso 24 febbraio l’Ucraina, paese sovrano e democratico di 43 milioni abitanti, Vladimir Putin ha scatenato un conflitto militare senza precedenti dal 1945 a questa parte e portato la guerra nel cuore dell’Europa – scrive Nicolas Baverez. Il suo obiettivo non si limita all’annessione dell’Ucraina, disconosciuta come nazione, come popolo e come stato. Putin punta alla ricostituzione dell’impero sovietico, come esplicitato dai progetti di accordo trasmessi alla Nato lo scorso dicembre.
Tutti quelli che hanno scommesso che la Russia si sarebbe accontentata dell’Ossezia e dell’Abcasia nel 2008, della Crimea e del Donbas nel 2014, si sono sbagliati di grosso. Tutti quelli che oggi affermano che si fermerà a Kyiv sono fuori strada. La Russia si è lanciata in una guerra globale contro la democrazia in Europa che mobilita tutti gli strumenti dei conflitti ibridi: il ricorso aperto alle forze armate; i cyber attacchi su vasta scala; il ricatto del gas e dei migranti; la disinformazione e il sostegno delle forze populiste. Vuole in questo modo alimentare il caos e la paura in Europa, allontanandola allo stesso tempo dagli Stati Uniti, indeboliti dalla guerra civile fredda che li erode. Questa strategia, fino a questo momento, si è rivelata vincente.
Vladimir Putin si è assicurato un perfetto controllo dell’agenda diplomatica e dell’escalation strategica. Ha vinto la guerra prima di scatenarla. Per farlo, ha preparato metodicamente l’invasione dell’Ucraina sul piano ideologico, imponendo il mito di una minaccia di accerchiamento della Russia da parte della Nato e di un genocidio delle minoranze russofone dell’Ucraina; sul piano militare, ha modernizzato un esercito di 900 mila uomini; sul piano diplomatico, ha stretto un’alleanza con la Cina di Xi Jinping attraverso l’accordo del 4 febbraio; sul piano economico, si è orientato verso l’Asia; sul piano finanziario, ha accumulato 630 miliardi di dollari di riserve valutarie alla fine del 2021 e si è emancipato dai circuiti di finanziamento in dollari. A questa pianificazione metodica, ha risposto l’incredibile leggerezza delle democrazie, che hanno coltivato il rifiuto davanti al pericolo del regime di democratura inventato da Vladimir Putin, davanti alle rivendicazioni territoriali, davanti alla militarizzazione forsennata del suo paese, davanti alla moltiplicazione delle sue dimostrazioni di forza. Chiudendo volontariamente gli occhi dinanzi alla minaccia di una potenza armata pesantemente che li designa come nemici, gli europei si sono ritrovati uniti nell’idea della fine della storia, del carattere obsoleto degli stati e della guerra, dell’obsolescenza della potenza, del mantenimento della pace solo attraverso il ricorso al commercio e alla diplomazia.
La storia non si ripete, ma ci lascia dei preziosi insegnamenti. Il nostro mondo differisce da quello del periodo tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, ma la configurazione politica presenta delle somiglianze inquietanti. La strategia di Vladimir Putin per rimettere in discussione l’ordine internazionale, soddisfare la sua sete di rivincita e ricostruire l’impero sovietico ricorda le tappe della costituzione, da parte di Hitler, di uno spazio vitale per il Terzo Reich, attraverso la rimilitarizzazione della Renania nel 1936, seguita dall’annessione dell’Austria e della regione dei Sudeti nel 1938, della Cecoslovacchia nel 1939, e infine dall’invasione della Polonia il 1° settembre 1939. Questa marcia verso la guerra fu punteggiata dalla conferenza di Monaco nel settembre 1938, che sancì l’impotenza delle democrazie – l’accettazione di tutte le concessioni diplomatiche per evitare una guerra che la loro codardia rendeva inevitabile – poi il patto Molotov-Ribbentrop il 23 agosto 1939, che lasciava a Hitler le mani libere per invadere l’Europa. Le democrazie entrarono in guerra controvoglia, indebolite dai loro conflitti interni, dal carattere tardivo del loro riarmo e dalla loro divisione. La pagarono con la loro débâcle iniziale dinanzi alle forze armate del Reich e con la conquista dell’Europa continentale da parte dei nazisti.
Oggi, la sfida lanciata dalla Russia di Vladimir Putin rappresenta una minaccia mortale per l’Europa. Tanto più che è coordinata con la Cina. L’invasione dell’Ucraina, mettendo a nudo la loro vulnerabilità, costituisce l’ultimo segnale d’allarme per salvare le nostre democrazie. Siamo a un punto di svolta della storia: o le nazioni europee e l’Ue reagiscono, si mobilitano e avviano una drastica revisione dei loro modi di pensare e agire; o la democratura russa, nonostante il suo declino demografico ed economico, si estenderà in maniera diretta o indiretta sul continente. L’imperativo categorico è quello del riarmo, che non si limita al campo militare, ma deve essere anche economico, politico e ideologico (…). Più in generale, l’Europa deve dotarsi di una strategia globale per rispondere alla guerra ibrida condotta da Mosca. Ciò presuppone uno stravolgimento completo dei princìpi dell’Unione, che non possono più essere fondati unicamente sul diritto e sul mercato, ma devono integrare la sovranità e la sicurezza, che si tratti di industria, di energia, di tecnologia o di alimentazione.
Traduzione di Mauro Zanon
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