Un foglio internazionale
L'obiettivo di Putin non è la rivoluzione globale, ma la coesione del mondo russo
Il Cremlino non punta a costruire una nuova egemonia mondiale. La visione di un mondo diviso in “stati civiltà” e i calcoli sbagliati. Scrive il New York Times (26/2)
Quando l’America, presa dall’hubris, andò in guerra per rifare il medioriente nel 2003, Vladimir Putin era un critico dell’ambizione statunitense, e un difensore delle istituzioni internazionali, del multilateralismo e della sovranità nazionale”. Così inizia l’analisi di Ross Douthat sul New York Times. Seppur dettata dagli interessi personali, la posizione russa è stata giustificata dai fatti, dato che i fallimenti americani in Iraq e in Afghanistan hanno dimostrato quanto sia difficile la conquista e l’occupazione di un territorio straniero.
Ma oggi è proprio Putin a fare una scommessa di proporzioni storiche, adottando tuttavia una visione molto più sinistra di quella che motivò George W. Bush vent’anni fa. Vale la pena chiedersi perché un leader che un tempo prestava grande attenzione ai pericoli dell’hubris abbia deciso ora di prendersi un rischio simile, scrive Douthat, secondo cui il capo del Cremlino crede davvero che la Russia sia circondata dalla Nato e che ci sia un legame storico tra russi e ucraini. Tuttavia, da un punto di vista razionale, l’invasione dell’Ucraina era destinata a compromettere molti degli interessi strategici di Mosca. Era inevitabile che un intervento militare russo avrebbe alimentato la spinta europea per raggiungere l’indipendenza energetica, aumentato la spesa militare dei paesi dell’Ue e invogliato molti stati neutrali a unirsi alla Nato. Putin ha agito aspettandosi queste conseguenze, sostiene Douthat, perché è convinto che l’epoca della globalizzazione americana sia finita e l’obiettivo dei prossimi cinquant’anni sia quello di consolidare tutto – risorse, talento, persone e territorio – all’interno delle mura della propria civiltà.
Questa visione del futuro non contempla né un’egemonia mondiale liberale né una guerra fredda tra due ideologie contrapposte. Piuttosto prevede un mondo diviso tra quelli che l’analista Bruno Maçães chiama “stati civiltà”, ovvero dei grandi blocchi ancorati a una cultura dominante che non aspirano a governare il mondo ma a diventare degli universi autonomi e indipendenti. Questa idea, che ricorda molto lo “scontro tra civiltà” teorizzato dal politologo Samuel P. Huntington, ha una chiara influenza sulle potenze emergenti come l’India di Narendra Modi o la Cina di Xi Jinping. Maçães si augura che questa ideologia possa rianimare anche l’Europa, e che magari l’aggressione russa possa suscitare maggiore coesione tra gli stati europei. Secondo Douthat, negli Stati Uniti il ritorno del nazionalismo economico e le guerre culturali attorno a temi identitari indicano l’influenza di quella che lui chiama “un’ideologia civilazionista”. Vista in quest’ottica, l’invasione russa dell’Ucraina è “il civilazionismo sfuggito fuori controllo”, dato che Mosca sta cercando di creare attraverso la forza “un mondo russo”. Secondo lo scrittore nazionalista Anatoly Karlin, questo termine indica “una civiltà tecnologica, con il proprio ecosistema informatico (…) un programma spaziale e visione tecnologica (…) che si estende da Brest a Vladivostok”. L’obiettivo non è la rivoluzione globale o la conquista, ma la coesione della propria civiltà. Per usare le parole di Putin, si tratta dell’unificazione della “nostra storia, cultura, e spazio culturale”.
Tuttavia, i figli che nel frattempo si sono emancipati non hanno alcuna intenzione di tornare alla casa madre, ed è dunque necessario l’uso della forza. Questo comporta una serie di problemi pratici. Gli ucraini giovani, talentuosi e ambiziosi se ne andranno all’estero, e Putin potrebbe ereditare un paese povero, distrutto e abitato da pensionati. Inoltre, dato che la visione putiniana dell’autosufficienza russa è una farsa, la Russia potrebbe ritrovarsi a essere uno stato vassallo della Cina. Anziché segnare un ritorno ai fasti dell’impero russo, la rottura dei rapporti tra Mosca e l’Europa potrebbe rendere Putin ancora più dipendente da Pechino.
“Queste difficoltà esistono nel lungo termine anche per un putinismo che accetta l’autarchia e l’isolamento come prezzo di un consolidamento panrusso. Ma oggi, e finché gli ucraini continueranno a combattere, dobbiamo sperare che il presidente russo non penserà a questi problemi che verranno – e che la Storia che lui sogna di poter scrivere scaturisca invece dalla sua sconfitta”.
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