Un Foglio internazionale
La guerra in Ucraina come l'11 settembre
Per il filosofo e saggista Robert Redeker l’invasione russa “è una svolta storica tanto importante quanto l'attentato alle Torri gemelle”
Le Figaro – Da filosofo, qual è la sua opinione su questa guerra? Al di là delle conseguenze geopolitiche, in che cosa è suscettibile di scuotere gli immaginari, le rappresentazioni e le mentalità?
Robert Redeker – Il giorno dell’invasione dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022, resterà una data importante tanto quanto l’11 settembre 2001. Sono le due date più importanti dall’inizio del Ventunesimo secolo. Sono date che cambiano i tempi, che aprono un’epoca. Un’epoca, dice Bossuet, è un periodo segnato “da un grande evento al quale il resto fa riferimento”. Questo evento dà il tono agli anni che seguono. Disvela un nuovo paesaggio politico e mentale, di cui nessuno aveva sospettato la possibilità fino a quel momento, come se fosse stata varcata una linea di orizzonte. Cambiano i tempi: i punti di riferimento e le convinzioni si modificano. Gli effetti del 24 febbraio non annullano quelli dell’11 settembre: li correggono e li rafforzano. L’11 settembre è stata l’epifania della prima figura del nemico, l’islamismo; il 24 febbraio della sua seconda figura, l’impero autocrate (…). L’11 settembre segna la fine dell’ideologia della fine della storia, il 24 febbraio segna la fine della spensieratezza europea. Non potremo più vivere come abbiamo fatto fino ad oggi. Aprendo un’epoca, questa data ricorda la caducità di numerose idee, rappresentazioni e modi di comportarsi e di governare. Lo stravolgimento molto rapido tocca già le fondamenta della politica, il suo immaginario. E’ un terremoto in ciò che Castoriadis chiamava “l’immaginario istituente” della politica, che spinge al suo rinnovamento.
L’Europa riscopre il tragico della storia, ma anche l’idea di potenza?
Castoriadis ancora: ogni politica proviene da un immaginario. Quello dell’Europa post 1945 era dominato da un’antropologia ottimista, l’irenismo che implicava, la convinzione, fondata su questo ottimismo, che lo sviluppo economico e la prosperità avrebbero eliminato le cause dei conflitti, che il ricordo del passato avrebbe neutralizzato il desiderio di ricorrere alle armi. E che alla fine, come volevano Marx e Engels, la politica sarebbe stata soltanto gestione del benessere quotidiano. Da questo punto di vista, gli stessi liberali erano marxisti senza saperlo. Tutta questa gamma di presupposti, che confondeva la realtà con il desiderio, ignorava la natura umana, di cui con buone ragioni si può pensare male, nonostante gli avvertimenti a questo proposito presenti nell’opera di Freud. Molto curiosamente, questo ottimismo ingenuo riguardo alla natura umana si diffondeva man mano che la scristianizzazione progrediva, facendo dimenticare la nozione, che incitava alla sfiducia dinanzi alla nostra specie, del peccato originale. L’Europa era immersa nell’amnesia, dimenticando le condizioni di possibilità di ciò che a giusto titolo ama, l’eredità congiunta di giudeo-cristianesimo e di Illuminismo: la libertà, il diritto, il rispetto della vita privata, l’autonomia dell’individuo, la cura dell’altro, la separazione dei poteri, la democrazia. Col passare di decenni di pace e prosperità, questa amnesia ha finito per indebolirla spiritualmente, spingendola ad esporsi da sola come preda. Gli islamisti sono stati i primi a rendersene conto. Gli imperialismi vicini se ne accorgono per le parti dell’Europa a cui sono interessati. Ma mentre l’invasione di una porzione dell’Armenia da parte dell’Azerbaijan non ha cambiato questo immaginario, quella del 24 febbraio lo ha mandato in frantumi: l’Europa riscopre che la potenza (economica, politica, militare) è la condizione per la sua libertà. E per la sua sopravvivenza. Alle prime luci dell’Europa, la città greca lo sapeva; ritrovando questa coscienza, l’Europa si ricongiunge con le sue origini. Un immaginario – una galassia di rappresentazioni – rinnovato, in cui l’amore per la patria, il sentimento nazionale e il civismo militare ritroveranno il loro posto, uscirà da questa epifania della potenza.
E’ anche la fine di una certa idea di Europa?
Il sostegno all’Ucraina dimostra che i nostri popoli non vogliono un’Europa senza nazioni. Ecco l’Europa, che sognava di essere un vasto supermercato spensierato e post-nazionale, raggiunta dalla storia, dove il tragico è l’ingrediente essenziale e il lievito. Questa invasione è per lei come un’anamnesi. I suoi dirigenti si erano dimenticati che l’Europa era una formazione spirituale portatrice di una responsabilità politica. (Traduzione di Mauro Zanon)