un foglio internazionale
Il grande mistero di Putin. Da liberale, o quasi, a guerrafondaio sanguinario
Parla l’ex consigliera di Chirac all’Eliseo, la storica Héléna Perroud. Una delle massime esperte di Russia, scrive Le Point
Le Point intervista Héléna Perroud, storica, ex consigliera di Jacques Chirac all’Eliseo, una delle massime esperte di Russia. Tra i suoi libri, “Un Russe nommé Poutine”, uscito nel 2018.
Esiste una coerenza tra il Vladimir Putin che vediamo oggi all’opera e quello che lei racconta nel suo libro?
C’è un netto irrigidimento tra il Putin dei primi anni, in particolare nella sua espressione pubblica, e quello che vediamo all’opera oggi. Ma anche delle costanti. C’è un intervento poco conosciuto, che persino alcuni diplomatici non conoscono, apparso nel novembre del 1999 sul New York Times e intitolato “Why we must act”, dove Putin spiega all’opinione pubblica americana le ragioni della guerra in Cecenia. Come ha fatto in occasione dei suoi recenti discorsi, Putin difende in quell’intervento il carattere multietnico della Russia, a cui tiene a tutti i costi. Questo aspetto è l’angolo morto di diversi analisti occidentali. Putin si è sempre preoccupato di preservare il carattere multietnico, multiconfessionale e multilinguistico del suo paese. La Russia ha una componente russa importante, nel senso bianco e ortodosso, ma anche musulmana, così come un mosaico di etnie che vivono in questo immenso paese nell’estremo oriente e che praticano il buddismo, lo sciamanismo…
C’è anche una comunità ebraica che certamente non è molto grande, ma è influente. Putin stesso lo dice: ci sono centosettanta etnie in Russia. E’ una chiave per capire ciò che lo ha scioccato, all’inizio, nel dossier ucraino. Dopo il 2014, c’è stata una repressione – i russi parlano di un “genocidio” – volta a sradicare dall’Ucraina la lingua russa in una popolazione per la quale è la lingua materna. E’ un dramma che ha turbato i russi e Putin in particolare. Nell’aprile del 2012, quando pronuncia il suo ultimo discorso alla Duma in veste di primo ministro, ed è appena stato rieletto presidente, dice queste parole a un deputato comunista che lo invita a cambiare il preambolo della Costituzione che menziona il carattere multietnico: “Assolutamente no, altrimenti creeremo dei cittadini di prima e di seconda categoria”. E’ esattamente ciò che è accaduto in Ucraina in seguito al 2014. Per questo motivo, l’annessione della Crimea da parte della Russia è stata sostenuta da un’ampia fetta della popolazione.
Per quanto riguarda l’annessione della Crimea, Putin la paragona alla riunificazione della Germania. Per quali ragioni?
In un discorso del 18 marzo 2014, si rivolge in maniera specifica ai tedeschi, sperando in una comprensione di ciò che è accaduto in Crimea. Putin spiega – ed è la pura verità – che l’Urss di Gorbaciov ha dato il suo accordo per la riunificazione delle due Germanie in cambio di rassicurazioni che sono state soltanto orali, ed è proprio il dramma di questo momento, perché la Nato non si estenda all’est. Putin chiede dunque ai tedeschi di comprendere che tra la Crimea e Russia c’è lo stesso popolo che si è ritrovato artificialmente separato da una frontiera. La Crimea è diventata ucraina in seguito a un tratto di penna di Krusciov. Otto righe di un decreto del 1954 che aveva una base giuridica leggera e che è stato adottato per ragioni ancora oscure. Per capire Putin, che inizialmente era veramente di ispirazione liberale e non questo guerrafondaio sanguinario, bisogna ricordarsi che il suo mentore era Anatoly Sobchak, l’ex sindaco di San Pietroburgo. Sobchak era la personalità più liberale della classe politica russa degli anni Novanta. E’ stato il professore di Putin all’Università di San Pietroburgo. Putin è un giurista, non dimentichiamocelo. Oggi non rispetta il diritto internazionale perché ritiene che gli altri facciano la stessa cosa. Vede ovunque un doppiopesismo, a detrimento della Russia.
Al di là della Nato e delle considerazioni storiche, non si può non vedere una dimensione di civiltà in questa opposizione tra la Russia e l’occidente…
E’ vero che, nei confronti dell’occidente, i russi sono passati in trent’anni dall’ammirazione alla compassione. Dicono che noi occidentali siamo in una deriva totale. Questa dimensione di civiltà esiste, effettivamente. E’ sempre difficile da immaginare, ma i russi, in media, sono più acculturati di noi. Leggono molto di più, sono intrisi di una cultura classica che viene insegnata a scuola, anche negli istituti di campagna. Nella metropolitana di Mosca, per esempio, non vedrete delle pubblicità spazzatura, ma immagini dei paesaggi russi o spiegazioni sull’origine di una lettera dell’alfabeto.
(Traduzione di Mauro Zanon)
Il Foglio internazionale