un foglio internazionale
La storia riparte da Kyiv
La guerra in Ucraina è uno spartiacque storico, sia per l’occidente sia per la Russia. Quello che accadrà sul terreno deciderà anche le sorti degli imperi
"Qualcuno ha il diritto di essere sorpreso? Un regime di gangster al Cremlino ha appena dichiarato che la sua sicurezza viene minacciata da un vicino più piccolo - il quale, sostiene il regime, non è un paese sovrano ma un fantoccio dell’occidente. Per sentirsi più al sicuro, insiste il Cremlino, deve conquistare il territorio del suo vicino. I negoziati tra i due paesi non vanno a buon fine; Mosca invade”. Così inizia il saggio del politologo Stephen Kotkin sulla rivista Foreign Policy.
Kotkin fa un elenco delle aggressioni russe, partendo dal 1939. Quell’anno il regime di Mosca era guidato da Stalin, e il paese confinante era la Finlandia. Il leader russo voleva controllare delle isole finlandesi nel mar Baltico, e offrì in cambio una foresta nella Karelia sovietica. Helsinki rifiutò l’offerta e la Russia invase. All’epoca la Finlandia oppose una resistenza stoica che catturò l’immaginazione collettiva dell’occidente, che pure non fornì alcun aiuto militare. Malgrado tutto, la Finlandia perse la guerra e finì per cedere ai sovietici un territorio più vasto di quello inizialmente preteso da Stalin. Nel 1950 assistiamo a un copione simile: il Cremlino autorizza un’altra invasione di un piccolo stato, contando sul fatto che l’occidente debole e reduce dalla guerra non sarebbe intervenuto. Stiamo parlando della Corea del Sud; il regime russo sbaglia i calcoli un’altra volta. L’occidente difende il paese dall’invasione del dittatore di Pyongyang, Kim Il Sung, grande alleato di Mosca. E ora veniamo all’Ucraina. L’Unione sovietica e Stalin non esistono più, ma l’animosità verso l’occidente è rimasta quella di prima. Quando ha deciso di invadere l’Ucraina, il presidente russo Vladimir Putin si aspettava la stessa reazione dell’occidente all’aggressione in Finlandia: tanto rumore, poca unità, nessuna azione. Ma, secondo Kotkin, la risposta occidentale è stata più simile a quella adottata in Corea del Sud con la differenza che, stavolta, l’Europa ha fatto più dell’America.
Qual è la lezione? Secondo Kotkin, questi episodi ricorrenti, per quanto diversi, riflettono la stessa “trappola geopolitica”. Molti russi continuano a vedere il loro paese come una “potenza provvidenziale”, che svolge una missione speciale nel mondo. Ma le capacità della Russia non sono all’altezza delle sue ambizioni e quindi i suoi leader esercitano il potere in modo coercitivo per colmare il divario con l’occidente. Ma questo non funziona quasi mai, e degenera inevitabilmente in un governo personalista. Secondo Kotkin, l’unico modo per la Russia di interrompere questo ciclo vizioso è quello di abbandonare la premessa di essere una grande potenza e convivere con l’occidente, scegliendo di concentrarsi sul suo sviluppo interno. Secondo Kotkin questo processo spiega perchè la fine della guerra fredda è stato un “miraggio”, nel senso che ha avuto conseguenze minori di quanto credessero gli osservatori all’epoca. Gli eventi di quegli anni - la riunificazione della Germania, l’adesione dei paesi dell’est Europa alla Nato e all’Ue - hanno avuto un impatto enorme per gli abitanti di quegli stati, ma non hanno cambiato il mondo. Kotkin fornisce tre esempi. La Germania unita è diventata un fattore geopolitico solo dopo l’invasione russa dell’Ucraina. I paesi dell’est Europa che si erano integrati nelle strutture occidentali sono andati indietro, affrancando un modello illiberale. Infine le perdite territoriali della Russia non hanno determinato un crollo permanente nel potere di Mosca.
Ovunque nel mondo c’è una grande resistenza verso gli ideali americani e occidentali; questo è un segno di come la guerra fredda non sia affatto terminata. La penisola coreana resta divisa, e la Cina è ancora comunista e determinata a riconquistare l’isola di Taiwan. Credere che la guerra fredda sia finita significa ridurre il conflitto all’esistenza dell’Unione sovietica. Questo è stato l’errore compiuto da molti politici e pensatori occidentali, e in particolare americani. Credendo di avere vinto una volta e per tutte la battaglia ideologica, gli americani si sono allontanati dall’idea di essere la roccaforte dell’occidente, inteso non come una località geografica ma come un insieme di valori: libertà individuale, proprietà privata, stato di diritto, mercati aperti e pluralismo politico. L’America ha invece sposato l’idea di un “ordine liberale internazionale” guidato da Washington che si sarebbe gradualmente diffuso in tutto il mondo, inglobando anche i paesi che non condividono i valori occidentali. Queste idee di dominio globale hanno fatto perdere di vista la persistenza della geopolitica. Kotkin prende l’esempio delle tre più antiche civiltà dell’Eurasia - Cina, Iran e Russia - che non si sono mai adeguate al modello culturale occidentale.
Questo non vuol dire che non ci siano stati dei grandi cambiamenti dal 1991. Nell’asse anti occidentale si sono capovolti i ruoli: oggi la Cina è la potenza dominante e la Russia è quella subalterna. Inoltre, il fulcro della competizione tra grandi potenze si è spostato nell’Indo pacifico. Da un punto di vista geopolitico, sostiene Kotkin, l’anno spartiacque è stato il 1979 piuttosto che il periodo tra il 1989 e il 1991. Quello è stato l’anno in cui il leader cinese Deng Xiaoping ha normalizzato i rapporti con gli Stati Uniti e ha avviato il processo di liberalizzazione economica cinese; l’Islam politico ha trionfato in Iran, e questo ha avuto effetti in tutto il mondo; e la combinazione tra la stagflazione e l’anomia sociale ha dato il via alla rivoluzione liberista di Reagan e Thatcher nell’anglosfera, che nel lungo termine ha anche contribuito a orientare la sinistra verso il centro.
Ma secondo Kotkin la più grande novità è che questa è la prima volta nella storia in cui l’America e la Cina sono contemporaneamente delle potenze mondiali. La Cina era stata a lungo il paese dominante quando tredici colonie decisero di liberarsi dal Regno Unito. Nei due secoli successivi, l’America è diventata la più grande economia al mondo e la Cina è entrata in lungo periodo di crisi. Questo processo è terminato quando nel 1979 Deng ha abbandonato i sovietici e indossato un cappello da cowboy nella storica visita in Texas in cui ha di fatto aperto l’economia cinese al mercato americano. Negli anni Novanta la Cina ha riallacciato i rapporti con la Russia pur senza rinunciare al legame con l’America. Una scelta che si è rivelata lungimirante.
La guerra in Ucraina come cambierà questi rapporti?, si domanda l’autore. Sul fronte occidentale, la presidenza di Donald Trump ha determinato un profondo scetticismo nei confronti di Pechino, che è stato proseguito dall’amministrazione del presidente Biden. L’invasione di Putin, che è stata tollerata se non addirittura sostenuta da Pechino, è stato anche un campanello di allarme per l’Europa, che ha capito di non potere più essere dipendente dalle importazioni di gas e petrolio russo né compiacente nei confronti della Cina. In molti credono che Putin debba fallire in Ucraina, anche per mandare un segnale a Pechino. Guardando al futuro, scrive Kotkin, “non c’è nulla di più importante dell’unità dell’occidente verso Russia e Cina”. Sul versante opposto, molti nazionalisti cinesi sperano in una vittoria russa perché loro stessi vogliono invadere Taiwan nel futuro prossimo. Tuttavia, molti analisti a Pechino vedono le difficoltà di Putin in Ucraina, oltre alla risposta decisa dell’occidente, come un monito per loro stessi. “Forse, consentire a un uomo solo di trasformare un sistema autoritario che favoriva una miriade di gruppi d’interesse in un feudo personale che rischia tutto non è una grande idea, dopo tutto”, scrive Kotkin.
Lo studioso conclude che i tre grandi eventi del 1979 sono tutti falliti seppur in modo diverso. L’Islam politico che governa in Iran è stato screditato, dato che non è riuscito a garantire lo sviluppo del paese e affida la sua sopravvivenza alla repressione e alle menzogne. La Cina affronta grandi problemi demografici e non è detto che riesca a sfuggire alla cosiddetta trappola del medio reddito. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, la rivoluzione liberista si è esaurita, e tutto l’occidente ha un grande bisogno di rinnovamento.
L’autore conclude che è assurdo pensare che la sostituzione di dittatori come Putin o Xi Jinping sia sufficiente a cambiare le dinamiche politiche nei loro paesi. “Gli imperi vanno e vengono; i blocchi restano. La Cina di oggi adotta una strategia simile a quella della Germania nazista o del Giappone imperiale, pur senza andare in guerra (…) Il punto importante non è teorico ma storico: i contorni del mondo moderno creato dalla seconda guerra mondiale sono rimasti intatti fino alla grande svolta del 1979 e alla svolta minore del 1989–91”. L’andamento della guerra in Ucraina, e la risposta dell’occidente - conclude Kotkin - ci faranno capire se questa verrà ricordata come una grande o piccola svolta”.
(Traduzione di Gregorio Sorgi)
Il Foglio internazionale