Il foglio internazionale
Il risveglio economico che serve all'occidente di fronte a Putin
La guerra in Ucraina ha scosso l’Europa dal suo torpore, ma non è sufficiente. La sicurezza costa. I fronti da coprire per ritrovare slancio. L'articolo di Le Point
Fredrik Erixon dirige il Centro europeo di economica politica internazionale a Bruxelles. Dalibor Rohac è ricercatore presso l’American Enterprise Institute a Washington. Insieme hanno scritto questo articolo per Le Point.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha rianimato l’alleanza occidentale. Dinanzi al contrasto tra il revanscismo atavico di Vladimir Putin e l’eroismo dei difensori dell’Ucraina, l’occidente si è ricordato della sua singolarità storica e istituzionale dopo anni di galleggiamento e tergiversazioni. Ancora una volta, il nostro obiettivo comune si impone nella mente dei dirigenti e dei cittadini occidentali, scossi dalle immagini delle atrocità russe. Come collettivo, è responsabilità dell’occidente difendere le istituzioni e le idee che permettono alle nostre società di respingere le minacce rappresentate dagli autocrati di tutto il mondo.
Ma c’è un problema in questo momento di rinnovamento dell’occidente. La nostra capacità di successo, attraverso la nostra potenza e il nostro soft power, migliorando allo stesso tempo la nostra resilienza dinanzi alle aggressioni autocratiche, necessita di risorse economiche. Ma l’America è una regione che ha una crescita debole, e l’Europa ancor di più. Tra il 2009 e il 2019, la crescita economica annuale dell’Unione europea ha raggiunto un miserabile 1,4 per cento. In Italia, i redditi reali per abitante sono attualmente inferiori al loro livello a metà degli anni 2000. Il debito pubblico è esploso, oscillando sulla soglia del 100 per cento del pil in Europa e negli Stati Uniti, contro il 45 per cento in Cina e meno del 20 per cento in Russia.
Un problema che non ha nulla di nuovo. Da decenni, ormai, le economie occidentali sono sulla via del declino economico relativo, e in alcuni casi assoluto. Nonostante i suoi successivi ampliamenti, il peso relativo dell’Ue nell’economia mondiale è crollato, dal suo apogeo all’inizio degli anni Novanta dove si avvicinava al 25 per cento della produzione economica reale mondiale, a meno del 15 per cento oggi. Nella produzione reale mondiale, la parte degli Stati Uniti ha seguito una traiettoria discendente dal picco raggiunto alla fine degli anni Novanta. Secondo alcune previsioni, la Cina rappresenterà da qui al 2050 circa la stessa parte della produzione mondiale dell’Ue e degli Stati Uniti messi assieme. Sul piano degli indicatori di rinnovamento e di dinamismo delle imprese, l’Europa è particolarmente in ritardo. Nel 2021, l’Ue contava soltanto 40 “unicorni” (imprese private con una valutazione di mercato di più di un miliardo di dollari), per un totale di 78 miliardi di dollari. Per fare un paragone, la valutazione congiunta dei 19 unicorni nati in Corea del sud, a Singapore e in Indonesia raggiungeva i 76 miliardi di dollari. E mentre in Indonesia sono emersi sei unicorni, l’Italia, terza economia dell’Ue, non ne conta nessuno.
Il ruolo del dinamismo economico è essenziale. In società democratiche che non sono in guerra sono costose e difficile da sostenere delle armi efficaci e pronte al combattimento. Le promesse dei dirigenti europei di aumentare le spese in materia di difesa oltre una quota fissa del pil – diciamo il 2 per cento – sono tanto più fragili perché la produzione economica reale in Europa continua a essere stagnante o a contrarsi. Il budget del Pentagono proposto dall’amministrazione Biden e i suoi 773 miliardi di dollari, ossia poco meno del 4 per cento del pil degli Stati Uniti, sembra enorme, ma rischia di essere ancora insufficiente rispetto alle sfide di sicurezza a cui il paese potrebbe essere confrontato negli anni a venire. Se vuole uscire vittorioso dalla sua competizione con la Russia e la Cina, l’occidente ha bisogno urgentemente di una strategia per restaurare il proprio dinamismo economico. Una strategia che bisogna cominciare ad applicare a casa propria. Dopo tutto, è proprio questo che ha garantito il successo dell’occidente. La rivoluzione industriale e la famosa curva della sua produzione economica a forma di mazza da hockey, cominciata in Inghilterra e nel nord-ovest dell’Europa prima di diffondersi in America e in altre regioni occidentali, sono il risultato di una specifica combinazione di istituzioni, di idee e di cultura favorevoli alla sperimentazione, all’innovazione e allo spirito di impresa (…).
La guerra della Russia contro l’Ucraina ha risvegliato l’occidente dal suo torpore, ma non è un motivo per lanciarsi dei fiori. La sfida consiste nel dar prova di leadership politica per sfruttare questa sequenza e tradurla con dei veri e propri cambiamenti nelle nostre politiche interne e internazionali che si fanno attendere da molto tempo. Misure suscettibili di farci vincere la partita a lungo termine: trionfare contro i nostri avversari autocratici grazie alle forze dell’apertura economica, del cambiamento tecnologico e della concorrenza delle idee. Ma siamo ancora lontani da questo trionfo.
(Traduzione di Mauro Zanon)
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