un foglio internazionale
Putin, un fantasma del Ventesimo secolo attardatosi pericolosamente nel nostro
Non vive nella nostra epoca, scrive Le Point. Il suo modo di pensare è rimasto bloccato all’epoca in cui Stalin aveva la meglio su Hitler
"Putin abita sicuramente nel nostro stesso continente, ma siamo così sicuri di vivere nella sua stessa epoca?” si chiede Brice Couturier. “Non tutti sono presenti nello stesso tempo presente. Lo sono solo esteriormente. Portano con sé un passato che si intromette”. E’ ciò che scriveva il filosofo Ernst Bloch per tentare di spiegare il perpetuarsi, nella Germania degli anni Trenta, di focolai di “non contemporaneità” e di irrazionalismo. Questo ritardo mentale spiega per quale motivo, agli occhi di Bloch, alcuni suoi concittadini erano stati facilmente ingannati dalla propaganda nazista tanto quanto lo sono oggi alcuni nostri concittadini dalle leggende complottiste.
Un Foglio Internazionale: ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere, a cura di Giulio Meotti
L’Urss ha incarnato una forma di modernità alternativa alla nostra. Di più: detentrice proclamata del senso della Storia, affermava di incarnarne il culmine ineluttabile. Prima del 1989, erano la democrazia liberale e il capitalismo a passare spesso per arcaici. “Patria del proletariato internazionale” ed epicentro del movimento comunista mondiale, l’Urss diffondeva un’ideologia potente. Poteva basare la sua volontà di egemonia sulla molteplicità dei partiti comunisti locali. La Russia attuale non propone un’ideologia esportabile, al di fuori degli esotismi come l’Eurasismo. La Russia è diventata la patria dei “fatti alternativi”, accanto ai quali le invenzioni di Donald Trump passerebbero per esagerazioni benigne. E’ diventata una potenza puramente distruttiva, uno stato perturbatore e canaglia. Contrariamente alla Cina, non cerca nemmeno di fondare un nuovo ordine internazionale conforme ai suoi interessi contestando l’ordine liberale internazionale, ma semplicemente di conquistare delle terre in una logica di espansione imperiale degna del Diciannovesimo secolo. Nonostante le sue dimensioni geografiche colossali, senza la Bielorussia e l’Ucraina la Russia sarebbe soltanto, pare, uno stato nazione come gli altri, e non l’impero a cui aspirano i suoi dirigenti. L’attuale regime russo non incarna alcun modello trasferibile e, al di fuori della “stabilità” (incarnata dall’inaffondabile Vladimir Putin, al potere dall’epoca in cui Chirac presiedeva la Francia e Bill Clinton gli Stati Uniti), non ha molto da offrire ai suoi cittadini. E’ per questo motivo che Putin riversa su di loro ondate di nostalgia patriottica.
Secondo Galia Ackerman, il capo del Cremlino ha costruito una sorta di conservatorismo a uso interno, fondato sulla riconciliazione tra la Russia zarista e la Russia sovietica. Ma bisognerebbe aggiungere: a uso esterno, presentando la Russia come il conservatorio dei valori cristiani, il baluardo dell’occidente contro l’islamismo e il wokismo americano. Ma il suo modo di funzionare è rimasto palesemente all’epoca più gloriosa della carriera del maresciallo in tunica bianca: la vittoria di Stalin sulla Germania, in occasione della “Grande guerra patriottica”. Putin ha deciso di cancellare l’Ucraina dalla mappa dell’Europa, così come Hitler e Stalin si sono accordati per cancellare la Polonia, questo “aborto del trattato di Versailles”. Anche se ebrei, tutti quelli che il Cremlino considera come nemici sono de facto dei “nazisti”.
Fa la guerra secondo i metodi di settantacinque anni fa: bombardando le città in maniera indiscriminata con la sua super artiglieria e scavando delle trincee per proteggere le posizioni conquistate. La logistica, la gestione del supporto militare e l’intelligence sono obsoleti e rappresentano dei punti deboli ben sfruttati dagli ucraini che sono, invece, degli europei del loro tempo. Putin è un fantasma del Ventesimo secolo, pericolosamente attardatosi nel nostro.
A meno che non ci siamo immaginati troppo rapidamente di essere approdati sulle rive di un’illusoria “post Storia” e non ci stiamo risvegliamo da questo dolce sogno col rumore del cannone. Poiché, in un’altra versione della non-contemporaneità di Ernst Bloch, la vecchia Europa, che si era immaginata di diffondere il suo stile di vita e i suoi valori attraverso il commercio e la norma giuridica, si ritrova sfasata da un paesaggio che è terribilmente cambiato dai nostri gloriosi anni Novanta. Le logiche di forza sono tornate a essere determinanti. L’Europa ne prende coscienza con un certo ritardo. Speriamo che Raymond Aron abbia avuto ragione, lui che diceva che “le democrazie, lente a scuotersi, non si fermano prima della vittoria totale”. (Traduzione di Mauro Zanon)