Un foglio internazionale
La vivida memoria dei paesi baltici. Quando furono invasi da Stalin
Se si vuole comprendere l’intransigenza dei paesi baltici su Putin bisogna raccontare il martirio che hanno vissuto ottantadue anni fa
"Il 18 giugno verrà celebrato l’appello del generale de Gaulle a continuare i combattimenti contro la Germania hitleriana” scrive sul Figaro (12/6) lo storico francese Jean-Louis Panné, coautore del “Livre noir du communisme. Crimes, terreur, répression” (Robert Laffont, 1997), successo commerciale con più di un milione di copie vendute nel mondo e più di venti traduzioni. “Lo stesso giorno, Molotov, in nome di Stalin, manifestò all’ambasciatore tedesco a Mosca “le più sentite congratulazioni da parte del governo sovietico per gli splendidi successi delle forze armate tedesche” (“Nazi-soviet relations 1939-1941”, archivi tedeschi pubblicati dal Dipartimento di stato americano nel 1948). Data ampiamente conosciuta, il 18 giugno ha relegato nella penombra quella del 14 giugno, giorno in cui Parigi è stata invasa dalla Wehrmacht. La Francia aveva appena subito un’“incredibile sconfitta”, un “disastro senza precedenti” (Marc Bloch, “L’Étrange Défaite”).
Un Foglio Internazionale. Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere, a cura di Giulio Meotti
La notizia fece scalpore perché simboleggiava lo strapotere delle forze armate tedesche sul continente. Venendo a sapere o assistendo a quell’entrata, alcuni preferirono darsi la morte. Un senso di smarrimento si diffuse in tutto il mondo. Ma il 14 giugno trovò un’eco dall’altro lato del continente: quel giorno, l’Urss invase e annesse i tre stati baltici, Lituania, Estonia, Lettonia, al termine di un processo che ricorda ciò che l’Ucraina subisce dal 2014 nel Donbas e nella Crimea. Un ritorno al passato che oggi non è irrilevante. Le relazioni dei tre paesi baltici con l’Urss erano fondate su dei trattati di non-aggressione. Nel 1939, la Germania cercò di trascinare la Lituania dalla sua parte nella guerra, proponendole la restituzione dei territori occupati dalla Polonia: ma il paese baltico si rifiutò. Con il patto Molotov-Ribbentrop del 23 agosto 1939, l’equilibrio della regione venne messe in discussione attraverso le clausole segrete del trattato.
La Germania nazista e l’Unione sovietica si accordarono sulla spartizione dell’Europa orientale: la Lettonia e l’Estonia erano destinate a passare sotto il dominio sovietico. Il 28 settembre, il secondo patto prevedeva che la Lituania fosse in un certo senso riconsegnata all’Urss. Con la fine della resistenza dell’esercito polacco, pochi giorni dopo, il governo sovietico convocò i tre governi baltici a Mosca e impose dei trattati di assistenza reciproca con, in cambio, l’installazione di basi militari sul territorio delle tre repubbliche, promettendo una non-ingerenza nei loro affari interni. Poi, nove mesi dopo, mentre la Francia sprofondava dinanzi a Hitler, Stalin, il 14 giugno 1940, inviò degli ultimatum ai tre governi baltici. Il legame tra l’ingresso a Parigi delle truppe tedesche e l’inizio dell’annessione è più che chiaro che mai. Jean Cathala, diplomatico francese sul campo, raccontò: “Venerdì 14 giugno, il giorno in cui la Wehrmacht entra a Parigi, si viene a conoscenza che a Tallinn la stampa di Mosca accusa i governi baltici di essersi costituiti in blocco anti sovietico (…). Il 16, alcune note ufficiali informano le tre capitali che l’Urss si vede obbligata a proteggere le sue basi. E l’Armata rossa varca le frontiere” (“Sans fleur ni fusil”, Albin Michel, 1981). Venne avanzata una giustificazione totalmente fallace: al grido dei “fascisti baltici”, la Wehrmacht doveva invadere i tre paesi il 15 giugno! Rapidamente, i governi legali furono sostituiti da governi cosiddetti di “Fronte popolare”.
Furono indette delle elezioni, naturalmente truccate e precedute da un’ondata di arresti, per il 14-15 luglio, e il successo fu garantito: in Lituania, il 99,14 per cento dei voti andò alla lista unica voluta da Mosca. In seguito, il Parlamento lituano fu costretto ad adottare una risoluzione che sollecitava l’ingresso della Lituania nell’Urss. Lo stesso processo venne attuato in Estonia e in Lettonia, e, il 21 luglio, venne proclamato il governo sovietico nei tre paesi. La Lituania fu ufficialmente incorporata nell’Urss il 3 agosto 1940, la Lettonia il 5 e l’Estonia il 7. La prima persecuzione, nel 1940, doveva essere seguita da una seconda, altrettanto radicale, quando i sovietici penetrarono nuovamente nei paesi baltici nell’estate e nell’autunno 1944 in occasione del riflusso delle forze armate tedesche. I tre paesi hanno ritrovato la loro indipendenza soltanto nel 1991, ma sempre sotto la minaccia dei russi che sfruttano la presenza di minoranze russe insediate all’epoca sovietica in virtù della politica di popolamento del Cremlino. Se si tiene conto di ciò che sta accadendo da diverse settimane in Ucraina nelle zone controllate oggi dall’esercito russo, e a Kherson in particolare (sequestri, torture, sparizioni che coinvolgono gli ex militari, i poliziotti e i rappresentanti politici), è facile notare delle similitudini, seppur su scala ridotta, con il 1940: l’utilizzo della forza militare, la destituzione delle autorità legali, la loro sostituzione con uomini e donne fantocci, arresti sistematici (diverse decine di migliaia, in priorità i funzionari), seguiti da ondate di deportazioni nei Gulag. Si sono svolte delle elezioni con una lista unica di candidati e risultati garantiti senza sorprese, che ricordano il referendum del 2014 in Crimea.
(Traduzione di Mauro Zanon)
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