un foglio internazionale
L'ipocrisia del sud del mondo sul conflitto in Ucraina
Kyiv si sta difendendo da una guerra coloniale. Eppure i paladini della liberazione nazionale - come Cina, Sudafrica e India - strizzano l’occhio all’imperialismo russo
A una conferenza sulla sicurezza a Bratislava, la cena di gala era dedicata all’Ucraina. I tavoli avevano il nome delle città ucraine, incluse Irpin’ e Bucha. I dignitari internazionali riuscivano a stento a trattenere le lacrime mentre pronunciavano i discorsi sulla guerra”. Così inizia l’articolo dell’analista portoghese Bruno Maçães sulla rivista New Statesman. “E’ stato dato un premio al popolo ucraino. Un cantante ucraino ci ha deliziato con la sua voce. Ma la mattina successiva il ministro degli Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, che era stato seduto al tavolo principale, è salito sul palco e ha ammesso di non avere un’opinione sul conflitto. L’Europa, ha detto, deve smetterla di pensare che i suoi problemi vengano condivisi da tutto il mondo. In più di un’occasione, Vladimir Putin ha difeso la sua guerra come una guerra coloniale. In un incontro recente con gli imprenditori russi – ogni uomo d’affari alle prime armi deve imparare ad acquisire una colonia o due – il presidente ha spiegato che si considera la reincarnazione di Pietro il Grande, e che il mondo è diviso tra paesi coloniali e paesi colonizzati. Uno si sarebbe aspettato che l’India fosse all’avanguardia del movimento di reazione contro un progetto così marcatamente neocoloniale.
Ma l’India, che parla spesso del ruolo distruttivo dell’impero britannico e Mughal, non ha condannato la Russia. Anzi, il 2 marzo è stata tra i pochi paesi ad astenersi su una risoluzione Onu che sollecitava la Russia a fermare la guerra e a ritirarsi dall’Ucraina. Jaishankar ha stigmatizzato il massacro di Bucha e ha chiesto un’indagine, ma lo stesso ha fatto il Cremlino, secondo cui l’uccisione di mille persone, tra cui molti bambini, è stata condotta dalle truppe ucraine, o è stata messa in scena dal Regno Unito. L’India è in buona compagnia. Il Sudafrica, che ha una lunga e importante storia anti coloniale, resta indifferente nei confronti dell’Ucraina. Se l’invasione dell’Iraq nel 2003 è stato il momento in cui l’occidente non è riuscito a onorare le sue stesse norme, come il principio di integrità territoriale e di legge internazionale umanitaria, l’Ucraina è il momento in cui il Sud globale non ha onorato i suoi ideali anti coloniali e anti imperiali. Per gli ucraini, la loro è stata una guerra di liberazione nazionale ma i profeti di quest’idea – Cina, Sudafrica e India – sono rimasti a guardare.
Una teoria diffusa è che nella guerra in Ucraina è in ballo il futuro dell’ordine liberale occidentale. In questo caso il conflitto è un altro episodio in una sorta di guerra fredda permanente contro il potere totalitario. Ma c’è una seconda storia che unisce gli eventi più importanti del secolo scorso: la lotta anti coloniale. Il tema non è tanto il modo di organizzare la società, ma piuttosto l’ordine internazionale. Riconosciamo che ogni paese è un attore – un soggetto autonomo negli affari internazionali – o accettiamo che alcune parti del mondo sono solamente degli oggetti del potere? E’ una questione di libertà proiettata su larga scala. Quando Putin descrive l’Ucraina come un territorio di conquista, è evidente che la guerra sia tra forze coloniali e forze anti coloniali. Il Cremlino non è tanto interessato a rovesciare l’ordine internazionale quanto a ritornare a un’epoca in cui le grandi potenze erano in grado di espandersi a seconda della loro volontà di potere.
Le reazioni in Europa hanno seguito un andazzo prevedibile. I nazionalisti polacchi del partito Diritto e Giustizia si sono schierati a fianco dell’Ucraina. La loro idea nazionale è sempre stata fondata sulla resistenza dalla conquista delle potenze industriali che circondavano la Polonia, quindi non hanno fatto fatica a riconoscere un vecchio nemico. Ma i nazionalisti in Francia, Italia e Ungheria sono favorevoli al Cremlino perché la loro idea nazionale è strettamente collegata all’imperialismo – molti non vedono l’ora di tornare al mondo degli imperi. La lezione più dolorosa nella storia del colonialismo è ancora viva. Questa ideologia sembrava confinata al passato per il modo in cui era terminato il colonialismo europeo: portato a estremi inimmaginabili, si è schiantato nelle guerre devastanti del ventesimo secolo, da cui l’Europa è uscita sfinita e screditata.
Il Terzo Reich mirava a colonizzare l’Europa stessa. “Cos’è il fascismo se non il colonialismo applicato agli stati tradizionalmente colonizzatori?”, si è domandato Frantz Fanon. Il collasso della Germania nazista ha terminato l’era coloniale, ma adesso stiamo assistendo alla sua rinascita.
Oltre all’Ucraina, possiamo discernere una tentazione coloniale nella competizione per le risorse naturali, che oggi è drammaticamente intensificata dall’instabilità geopolitica e dalla transizione energetica. Il dibattito pubblico è concentrato sulla promessa delle rinnovabili, ma queste tecnologie hanno delle complicate catene industriali. Il bisogno di minerali per le batterie come il cobalto o il litio, ad esempio, potrebbe dare vita a una rinnovata competizione per il controllo di particolari aree geografiche. La crisi globale del cibo creata dalla Russia per acquisire peso ai tavoli negoziali è un ulteriore riflesso della nostra comune storia coloniale.
Molti sono rimasti perplessi rispetto al rifiuto di India e Cina di condannare l’invasione russa. Le nozioni di democrazia e autocrazia sono lontane dai loro pensieri: per questi paesi, il tema in ballo è un altro. Cina e India sentono che la loro forza sta aumentando. La loro volontà di espandersi è tornata. Dopo avere sopportato secoli di umiliazione nazionale, il futuro appartiene a loro. V.S. Naipaul chiamava l’India una civiltà ferita, ma la civiltà ferita si sta riaffermando. Per questi giganti, una nuova era coloniale non è nulla da temere e, per alcuni a New Delhi e Pechino, potrebbe essere perfino un’opportunità”.
(Traduzione di Gregorio Sorgi)
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