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La Russia, tra angoscia della contrazione e certezza dell'espansione
Michel Foucher analizza nel suo libro “Ukraine-Russie. La carte mentale du duel” le radici e le prospettive della guerra tra Mosca e Kyiv. Un'intervista del Figaro
Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere a cura di Giulio Meotti
Nel suo libro, lei spiega che, contrariamente all’Ucraina che si è costruita seguendo il modello dello stato-nazione europeo, la Russia assomiglia a un paese multinazionale. Questa differenza spiega secondo lei l’incomprensione di numerosi russi nei confronti della nazione ucraina?
Interrogarsi sull’identità della Russia è un tema complesso: non è uno stato-nazione, questo è chiaro, in ragione della presenza di minoranze; la nostalgia dell’impero resta, ma priva del fardello dell’Asia centrale e del Caucaso. Si può dunque avanzare la formula di stato territoriale. L’insistenza sul territorio, che è immenso, come supporto dell’identità, rende quest’ultima determinata dall’angoscia della contrazione e dalla certezza dell’espansione. E più si espande, più si insedia la percezione di un rischio di accerchiamento. Ricordiamoci che il presidente russo dirige il comitato di patrocinio della Società geografica russa, presieduta da Sergej Šojgu, ministro della Difesa. Dopo la sua visita della mostra consacrata a Pietro il Grande, in occasione dei 350 anni dalla sua nascita, Vladimir Putin ha dichiarato: “E' sorprendente, ma non è cambiato quasi nulla. Pietro il Grande ha condotto la guerra del Nord per ventuno anni. Sembrava che, combattendo la Svezia, le stesse togliendo qualcosa. Ma non le stava togliendo nulla. Stava riprendendo il controllo. E' nostro compito recuperare ciò che appartiene alla Russia e rafforzarci”. Si tratta dunque di riunire il mondo considerato russo, di cui l’Ucraina fa parte suo malgrado. Solzhenitsyn pensava la stessa cosa: pur comprendendo la volontà di indipendenza degli ucraini, che disapprovava, consigliava di prendere la decisione attraverso referendum, oblast per oblast. Espansione territoriale e concezione etnolinguistica del mondo russo sono i due ingredienti identitari.
Lo scontro con l’Ucraina, stato-nazione in formazione, arrivato tardi sulla scena europea e che si emancipa dalla tutela russa, non può che essere violento. Il dramma è che le prime vittime dei bombardamenti, della sistematica distruzione da parte dell’esercito russo, sono le popolazioni ucraine di lingua madre russa, soprattutto a Mariupol. Sono punite per il fatto di non aderire alle tesi dell’allineamento al mondo russo. Aggiungiamoci un’ossessione russa nei confronti delle minoranze musulmane, i ceceni, i tatari, anche quelli della Crimea, e soprattutto il Tatarstan, repubblica potente grazie al petrolio e alla sua demografia. Come se si dovesse compensare una demografia russa in declino riunendo il mondo slavo dinanzi all’aumento delle popolazioni musulmane e non russe – si pensi anche a tutte le minoranze della Siberia. Le élite russe ritengono che l’attuale guerra, col supporto militare europeo e americano, sia una minaccia esistenziale per la Russia. Ma non è la Russia a essere minacciata, è il regime autocratico, il suo messianismo – la “Santa Russia”, questa nostalgia imperiale. Ritengo che non ci sia più posto per l’impero sul continente e un nuovo concerto delle nazioni non può che basarsi sulla similitudine tra i vari sistemi politici e democratici. È anche questo che è in gioco in Ucraina.
Come spiega l’ambiguità della Russia, che oscilla tra una concezione etnica e una concezione civica della sua identità?
Le due concezioni coesistono, ma la concezione etnolinguistica della nazione, quella di Herder, domina. Gli ucraini hanno costruito una concezione civica della nazione, anzitutto perché è un paese bilingue: gli ucraini parlano russo e ucraino e passano dall’una all’altra lingua a seconda delle circostanze e degli interlocutori che hanno di fronte. L’uso dell’ucraino è in aumento e Zelensky lo ha imparato per la sua campagna elettorale del 2019. Questo bilinguismo spiega l’assenza di problemi di coabitazione tra quelli che hanno come lingua madre il russo e quelli che hanno come lingua madre l’ucraino. Ma il Cremlino ha fatto proprio il vecchio metodo della politica delle nazionalità utilizzato da Stalin, che consiste nella strumentalizzazione delle minoranze etnolinguistiche; lo abbiamo visto in Transnistria, in Georgia, ed è in corso nel Donbas: dividere per regnare, facendo leva sulla complessa geografia delle minoranze e spingendo alla secessione e all’indipendenza fittizia, al fine di indebolire il valore strategico delle vecchie repubbliche diventate indipendenti nel 1991. Con la guerra del 2008, i georgiani hanno perso il controllo di 140 chilometri di litorale del mar Nero e dei colli della catena del Caucaso. Se, malauguratamente, l’Ucraina perdesse tutto il litorale del mar Nero, il valore strategico del paese sarebbe estremamente ridotto, a livello di quello della Slovacchia, un paese senza sbocchi sul mare. Sarà il secondo obiettivo della strategia di conquista del Cremlino e dunque il prossimo campo di battaglia per gli ucraini. (Traduzione di Mauro Zanon)
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