un foglio internazionale
I paesi più vicini alla Russia hanno un ricordo vivido della violenza sovietica
La specialista François Daucé: ricompare lo spettro dell’occupazione russa. E’ interesse comune di questi paesi che il regime di Putin finisca, scrive Le Monde (3/7)
Direttrice di ricerca all’Ehess e al Centre d’études des mondes russe, caucasien et centre-européen, François Daucé è appena tornata da una missione a Vilnius sul tema dell’accoglienza degli oppositori di Vladimir Putin e di Aljaksandr Lukashenka, i presidenti russo e bielorusso. In un’intervista al Monde, la specialista dell’ex Urss spiega che le reti di assistenza nell’est dell’Europa si sono attivate molto prima della guerra in Ucraina.
Le Monde – Qual è l’entità dell’emigrazione russa generata dall’invasione dell’Ucraina?
François Daucé – Migliaia di russi hanno abbandonato il loro paese e raggiunto l’Europa, soprattutto gli stati baltici, alcuni paesi dell’Asia centrale, la Turchia… Non tutti sono oppositori. Alcuni avevano paura, per loro e per i propri figli, di una coscrizione generalizzata. Altri sono partiti perché temevano di non poter più lavorare, in particolare nel campo del digitale. E’ il caso della Georgia, in particolare, dove 50 mila russi sono arrivati molto rapidamente. A questi si aggiungono i ricercatori e gli universitari, una classe media superiore che cerca di liberarsi dal giogo che le viene imposto. Siamo molto sollecitati dai nostri colleghi delle università di Mosca e San Pietroburgo nel quadro del programma “Pause” (Programme d’aide à l’accueil en urgence des scientifiques en exil) creato nel 2017 per i siriani con il sostegno del Collège de France. La loro volontà di partire sta in due ragioni principali. O avevano preso posizione all’inizio del conflitto e sono stati arrestati o si sentono minacciati; oppure il loro tema di ricerca è diventato troppo sensibile. Conosco una dottoranda che lavorava sui territori autoproclamati indipendenti come la Transnistria o l’Ossezia del sud. Le è stato detto chiaramente che non avrebbe potuto sostenere la sua tesi. Un altro ha visto i suoi lavori sui media indipendenti sospesi. Dall’inizio della guerra, trecento ricercatori, russi ma anche ucraini, hanno mandato delle richieste. Gli esiliati russi e bielorussi non chiedono tutti lo statuto di rifugiati. Certo, vengono a mettersi al riparo, ma restando allo stesso tempo in prossimità e con l’idea, o piuttosto la speranza, di continuare a fare degli avanti e indietro, perché restano molto legati alla loro battaglia politica. Quelli che sono partiti verso il Caucaso, la Georgia e l’Armenia si sentono un po’ meno in sicurezza. In Russia sono stati aperti molti casi criminali contro questi oppositori.
C’è una spaccatura nei paesi alleati di Kiev tra quelli che vogliono una sconfitta totale della Russia e quelli che vogliono uscire dal conflitto attraverso la negoziazione…
I paesi che confinano con la Russia conservano un ricordo molto vivido della dominazione sovietica e della sua violenza. In nome di questo ricordo, ma anche di quello dell’imperialismo russo, si esprime oggi una solidarietà, perché esiste una storia condivisa, dei codici, una cultura, una convinzione comune in tutti questi paesi che il pericolo venga dalla Russia. La determinazione è più grande. In questa parte dell’Europa, si capisce molto bene a cosa sono confrontati gli esiliati, mentre all’ovest regna ancora una scarsa conoscenza. Allo stesso modo, in Georgia, la popolazione manifesta un fortissimo sostegno all’Ucraina. La guerra ha ravvivato i traumatismi del passato, lo spettro del colonialismo e dell’occupazione russa. Tutti questi paesi hanno un obiettivo comune: far cadere il regime di Putin. Recentemente, un oppositore bielorusso, di ritorno dall’Ucraina dove è partito a combattere, mi ha detto: “La Russia deve perdere questa guerra affinché ci si possa sbarazzare di Lukashenka”.
E’ la fine di un mondo segnato dall’impronta sovietica?
Questo mondo che li legava a un passato comune stava già sparendo. Le città mostrano un’identità europea, anche se la situazione è un po’ diversa nelle campagne. La Russia cerca di ravvivare questo passato facendo leva sulle ore più buie della sua storia, l’occupazione e persino la collaborazione con Hitler, la Shoah, per giustificare l’ingiustificabile. In questi paesi indipendenti, la necessità di portare avanti il lavoro di storici è più importante che mai.
(Traduzione di Mauro Zanon)
Il Foglio internazionale