un foglio internazionale
Make Nato great again
La forza dell’alleanza è solo apparente. Bisogna ripensare i rapporti con Washington e punire i paesi antidemocratici, dice Matthew Karnitschnig
All’apparenza, l’alleanza transatlantica non è mai stata così forte. Al termine di quello che i leader occidentali hanno chiamato un summit ‘storico’ giovedì scorso, che tra le altre cose ha previsto cene nel sontuoso palazzo reale della capitale spagnola e nello spettacolare museo del Prado, i superlativi volavano in abbondanza”. Così inizia l’articolo di Matthew Karnitschnig su Politico.
La sua tesi è che, malgrado la retorica trionfalista e autocongratulatoria del segretario generale Jens Stoltenberg e degli altri leader Nato, l’alleanza resta profondamente divisa tanto che ogni stato membro ha un’idea diversa di quali siano i suoi obiettivi strategici.
Cominciamo dalla Russia, che è stata definita la “minaccia più diretta e significativa” alla sicurezza, pace e stabilità dell’area euro-atlantica. Secondo Karnitschnig, questa è un’ovvietà piuttosto che il segno di una grande strategia. Il secondo motivo di vanto di Stoltenberg è stato il raggiungimento di un accordo per fare entrare Svezia e Finlandia. Ma questo non è stato il risultato dell’alta diplomazia quanto di “un’estorsione” da parte del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che ha lasciato cadere l’altolà all’ingresso dei due paesi scandinavi in cambio degli aerei americani F-16. “Questi accordi dietro le quinte fanno apparire la Nato come un racket di protezione piuttosto che una comunità di valori (…) Qualcuno è davvero convinto che possiamo contare sulla Turchia per mandare delle truppe in soccorso ai paesi baltici in caso di un’invasione russa? Difficilmente. Il fatto che l’aspirante sultano e l’uomo forte ungherese Viktor Orbán siano membri dell’alleanza non scalfisce solamente la pretesa della Nato di essere una comunità di valori occidentali; la ridicolizza. Ma questi non sono gli unici leader a minare la legittimità della Nato”.
Karnitschnig si esprime duramente contro Francia e Germania, accusandole di avere parlato per anni di “un’autonomia strategica” dell’Unione europea, che di fatto significa fare a meno della protezione americana e prendere il pieno controllo della propria sicurezza. L’invasione russa ha portato a un cambio di filosofia, convincendo i leader tedeschi che fino ad allora avevano ridotto all’osso la spesa militare a destinare maggiori risorse alla Nato. “Ma la conversione della Germania è stata dettata più dalla paura che dalla convinzione.
Se tutte le alleanze militari vengono plasmate, seppure in misura diversa, dalla paura, la Nato è stata consumata dal terrore. La colla che tiene unita l’alleanza non è una visione organica ma l’istinto a rannicchiarsi sotto l’ombrello nucleare americano. Questo non basta a tenerla unita, specialmente se Washington inizia a sospettare di essere stato lasciato solo a fare il lavoro sporco.
Queste incoerenze di fondo, sostiene il giornalista di Politico, hanno indebolito la risposta della Nato davanti alla più grande minaccia alla pace europea degli ultimi settant’anni. Gran parte dell’opinione pubblica in Europa resta divisa riguardo alla magnitudo della risposta, in parte perché il proprio governo non ha riconosciuto quanto sia alto il rischio per tutto il continente.
Alcuni stati come la Polonia, i paesi baltici, gli Stati Uniti e il Regno Unito sono stati molto generosi, mentre altri non hanno fatto tutto ciò che potevano, specialmente per quanto riguarda le forniture di carri armati e altre armi da combattimento. “Se l’Ucraina continua a perdere territorio e vite perché non riesce a difendersi, la responsabilità sarà solamente della Nato”. Un esito del genere non sarebbe un buon segno per il futuro dell’alleanza – specialmente a Washington, dove c’è grande frustrazione per l’eccessiva dipendenza degli alleati Nato sulle garanzie americane. Dopo quattro anni trascorsi in un silenzioso terrore con Donald Trump, gli europei si sono cullati in un senso di finta sicurezza sotto Joe Biden. Il presidente, da sempre un sostenitore dell’alleanza transatlantica, ha provato a rovesciare l’approccio combattivo verso i suoi alleati che aveva segnato la presidenza Trump. Ma il rischio è che le posizioni sull’Europa di Biden, le cui possibilità di ottenere un secondo mandato sembrano sempre più sottili, possano diventare più rare di quelle di Trump.
Gli Stati Uniti spendono il 3.5 per cento del pil sulla difesa, oltre il doppio rispetto agli altri membri della Nato. Con il paese che si prepara a dispiegare ancora più truppe e risorse in Europa, i leader americani faranno ancora più fatica a giustificare questa spesa all’opinione pubblica specialmente se, come sostengono in molti, il paese entrerà in recessione. Chiunque sarà il successore di Biden alla presidenza, è probabile non condividerà la passione del presidente per l’Europa.
Questo non significa che Washington uscirà dalla Nato, come ha minacciato Trump. Ma con l’intensificarsi della competizione con la Cina, i giorni in cui gli Stati Uniti coccolavano gli alleati europei arriveranno al termine. Questo è il motivo per cui la Nato non deve essere solamente ripensata, come ha auspicato Stoltenberg. L’alleanza deve rinascere completamente. Anziché fare delle promesse vaghe come quelle di questa settimana per “condividere in modo equo le responsabilità e i rischi per la nostra difesa e sicurezza”, la Nato dovrebbe perseguire delle riforme più radicali.
Questo non significa solamente essere meno dipendenti sugli Stati Uniti ma anche ridefinire ciò che la Nato è e non è, oltre a mettere in pratica i propri principi.
“In parole povere – conclude Karnitschnig – se gli stati membri non aderiscono alle norme democratiche, dovrebbero essere espulsi. Allo stesso modo, chi non è disposto a contribuire alla propria difesa può cercare delle garanzie di sicurezza altrove. Negli ambiti militari, la tattica di ‘distruggere una città per salvarla’ è controversa. Ma nel caso della Nato, non esiste altra opzione”.
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