Foglio Internazionale
Non c'è nostalgia del comunismo nelle ex repubbliche sovietiche, ma in Russia sì
L’analisi di Cibotaru: Mosca si pone come protettrice delle minoranze russofone, ma è una minaccia per i paesi che vogliono democrazia e diritti
Veronica Cibotaru, ricercatrice in filosofia ed esperta di filosofia della religione di origini moldave, cresciuta in Belgio, si esprime sulla candidatura della Moldavia all’ingresso nell’Unione europea. Cibotaru descrive il conflitto tra pro europei e pro russi che ha caratterizzato la storia di questa ex repubblica sovietica, incastonata tra l’Ucraina e la Romania.
Le Point – Come ha reagito alla notizia della candidatura della Moldavia all’ingresso nell’Unione europea?
Veronica Cibotaru – E’ una notizia che mi ha reso naturalmente felice. Mi sono detta che finalmente gli sforzi di numerosi moldavi per avvicinare il Paese all’Unione europea, che è per loro simbolo di democrazia e giustizia, hanno prodotto i loro frutti. Certo, la Moldavia non è ancora stata accettata come stato membro dell’Unione europea, ma è già un inizio, ed è molto importante.
La storia moldava non è molto conosciuta in Francia. Quali sono i momenti storici chiave di questa ex repubblica sovietica?
Negli ultimi trent’anni, la vita politica moldava è stata caratterizzata da forti opposizioni tra le forze pro europee e le forze pro russe. Il primo decennio degli anni duemila è stato contraddistinto dalla presenza del Partito comunista guidato da un presidente particolarmente pro russo, Vladimir Voronin. Il suo obiettivo era quello di creare una nazione moldava lontano dall’Europa. Nell’aprile del 2009, ho partecipato a Parigi alle manifestazioni contro le frodi elettorali del Partito comunista pro russo. Molti giovani avevano manifestato nella capitale, Chisinau, e molti sono stati arrestati e persino torturati. Dopo quei fatti, nel settembre del 2009, è salito al potere un presidente ad interim pro europeo, ma i governi pro europei che si sono susseguiti hanno deluso il popolo moldavo a causa della loro corruzione. Nel 2016, un partito pro russo, il Partito dei socialisti della repubblica di Moldavia, è tornato al potere. Il presidente, Igor Dodon, ha voluto giocare le sue carte, mantenendo una posizione piuttosto ambigua a metà strada tra l’Europa e la Russia, ma era chiaramente più vicino a Mosca che all’Unione europea. Poi, nel dicembre 2020, la presidente pro europea Maia Sandu ha vinto le elezioni presidenziali. Sandu ha capito il sentimento di stanchezza dei cittadini, si è presentata come la candidata della lotta anti corruzione e ha in questo modo acquisito una legittimità agli occhi dell’Unione europea.
Come si posiziona l’élite moldava dinanzi al conflitto in Ucraina?
L’élite moldava è contro la guerra, perché il paese ha vissuto il problema della Transnistria nel 1991, quando si è autoproclamata indipendente. Questa regione, originariamente ucraina, era stata annessa alla Moldavia dai sovietici, seguendo il motto latino divide et impera. Quando la Moldavia è diventata autonoma dopo la fine dell’Urss, la Transnistria si è autoproclamata indipendente. L’esercito russo sul campo ha sostenuto il movimento indipendentista della Transnistria, partecipando al conflitto militare contro l’esercito moldavo. La guerra ha provocato dei morti ed è rimasta nella memoria collettiva. Come è accaduto in altre regioni, ad esempio l’Ucraina e la Georgia, la Russia si è posta come difensore della minoranza russofona e russofila attraverso l’esercito. Dal 1991, alcune migliaia di soldati russi stazionano in Transnistria, il che significa che i moldavi hanno sempre vissuto sotto la minaccia russa. A questo proposito, lo scrittore moldavo Iulian Ciocan ha scritto un’opera in cui immagina una distopia, nella forma di un’invasione dei russi. Per questa ragione, i moldavi hanno immediatamente reagito con una forma di solidarietà verso il popolo ucraino.
Come viene considerato oggi in Moldavia il retaggio comunista?
Molti moldavi vivono nella diaspora e oggi, grazie al loro passaporto rumeno, possono viaggiare in Europa. Fra queste persone c’è un forte sentimento anti comunista. Oggi, per molti giovani moldavi, l’epoca comunista non ha più senso, non conoscono la nostalgia del comunismo. I miei genitori hanno vissuto buona parte della loro vita in Urss, ma sono anti comunisti. Tra le persone che hanno conosciuto il comunismo, si percepisce una sorta di fobia per i partiti di sinistra, al punto che alcuni militanti politici moldavi sono arrivati a dare il loro sostegno a Trump come unica barriera alla sinistra. Quando ero in Russia, ho sentito una forma di nostalgia dell’Urss, ci sono simboli sovietici nelle strade, c’è una catena di ristoranti dove si possono mangiare piatti e ascoltare musica che andavano di moda all’epoca dell’Urss. In Moldavia è diverso: c’è una forma di traumatismo rispetto al comunismo. C’è un divario che Putin non capisce: le ex repubbliche sovietiche non condividono la stessa nostalgia del comunismo che si può ritrovare in Russia. Putin non ha capito che questi paesi non aspirano a unirsi alla Russia, che rappresenta ancora lo spettro del comunismo, ma aspirano alla democrazia, all’uguaglianza dei diritti, che la Russia di oggi, agli occhi di queste repubbliche, non garantisce.
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