Un Foglio internazionale
A Vylkove, con le mogli dei prigionieri di guerra dell'isola dei Serpenti
I guardacoste ucraini catturati il 24 febbraio. A metà giugno, 75 di loro erano ancora imprigionati: sette sono originari della cittadina
Le donne di Vylkove – scrive Thomas d’Istria sul Monde – vivono senza notizie dei loro mariti e dei loro figli da quando questi ultimi, guardacoste dell’isola dei Serpenti, piccolo lembo di terra del mar Nero situato a trentacinque chilometri dalle coste ucraine, sono stati fatti prigionieri dall’esercito russo. L’ultima chiamata alle loro famiglie risale al 24 febbraio. Alle 16, la connessione è stata interrotta. Da allora, più nulla. Era il primo giorno di guerra. “Aleksandr, mio marito, mi ha chiamato alle 6 di mattina”, racconta Svitlana Krivitska, seduta sulla terrazza di un piccolo ristorante di Vyklove, 9 mila abitanti, non lontano da un imbarcadero che si affaccia sul Danubio. Era in corso un’offensiva russa per conquistare quest’isola strategica, da cui si controlla una zona aperta sia sulle bocche del Danubio sia sui grandi porti del grano del mar Nero. “Tutti hanno chiamato i loro cari fino a quando non c’è più stata rete”, precisa l’ex inserviente di una cinquantina d’anni.
Alla Taranova, impiegata in un asilo nido chiuso dall’inizio dell’invasione, si ricorda di aver parlato al telefono con Yevgen, suo marito, e di aver sentito le prime esplosioni dei bombardamenti verso le 15. “Ha detto che mi avrebbe richiamato più tardi. E poi, ha buttato giù”. Sono passati diversi mesi. E la speranza di ritrovare gli uomini di cui non si conosce il luogo di detenzione si è tinta poco a poco di amarezza. Le autorità ucraine sembrano aver dimenticato quelli dell’isola dei Serpenti. Così, le madri e le spose hanno costituito un gruppo che riunisce i familiari dei detenuti attraverso la regione di Odessa. A metà giugno, il vice primo ministro ucraino, Iryna Verechtchouk, ha dichiarato che 75 soldati dell’isola dei Serpenti erano ancora prigionieri. Tra questi, sette sono originari di Vylkove. L’assalto lanciato contro il presidio dei guardacoste, prima conquista russa di questa guerra, si è prodotto nello choc dei bombardamenti.
“Per due giorni, abbiamo pensato che fossero morti”, racconta Svitlana Krivitska. “Era una situazione di caos”, dice Alla Taranova. Nella serata dell’assalto, le autorità ucraine hanno annunciato che tredici di questi difensori dell’isola hanno preferito morire piuttosto che consegnarsi ai russi. Il sacrificio di questi uomini è entrato subito nella mitologia del tempo di guerra del paese invaso quando un guardacoste ucraino – la prova è in una registrazione audio – ha risposto all’imponente nave ammiraglia russa Moskva (ora affondata) che gli ordinava di arrendersi di “andare a farsi fottere”. La frase, leggendaria, è diventata il simbolo della resistenza di un’intera nazione. Il 26 febbraio, a sorpresa, un reportage della televisione russa ha contraddetto il bilancio delle autorità di Kyiv. Alla Taranova tende il suo telefono per mostrarci uno screenshot, sul quale si vedono degli uomini in divisa mentre scendono da un autobus. Sotto l’immagine, il logo della televisione di stato Russia 1 è stato sostituito dalla menzione “Okkupant 1”. Le donne vengono a sapere che 82 soldati sono stati catturati sull’isola e che sono stati incarcerati a Simferopol, in Crimea, parte dell’Ucraina annessa dalla Russia nel 2014. “Abbiamo riconosciuto i nostri mariti e abbiamo saputo che erano in vita”, spiega Svitlana Krivitska. I servizi di sicurezza e la direzione generale dell’intelligence ucraina, incaricati del dossier, hanno anzitutto consigliato agli abitanti di Vylkove di mantenere il silenzio con l’obiettivo di scongiurare il fallimento di un’eventuale operazione di scambio. A fine marzo, le autorità hanno annunciato la liberazione di venti prigionieri, tra cui alcuni civili giunti a portare soccorso ai guardacoste (…). Da allora, le donne di Vylkove non hanno più notizie.
Lo scorso aprile, in occasione di un’intervista, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, “ha assicurato che tutti erano stati scambiati”, dice singhiozzante Alla Taranova. Stessa constatazione due mesi dopo, in occasione della fuga delle truppe russe posizionate sull’isola dal 24 febbraio. Il 30 giugno, dopo una settimana di intensi bombardamenti ucraini con armi occidentali, l’esercito di Kyiv riconquistava l’isola strategica e vi piantava la sua bandiera nazionale. Eppure, “nessuno parlava di quelli che erano rimasti prigionieri”, denuncia Alla Taranova. “E’ stato qualcosa di molto strano liberare l’isola e non affrontare il problema”. Per farsi sentire, le donne di Vylkove organizzano delle campagne di comunicazione con i mezzi che hanno a disposizione. Gli stipendi dei guardacoste sono stati trasferiti sui loro conti bancari: i prigionieri sono stati pagati come se fossero sulla linea del fronte, ossia 122 mila grivnie (3.200 euro), sei volte di più che in tempo di pace. Una somma sufficiente per esporre i loro volti su dei grandi pannelli alle entrate delle città della regione e pagare i viaggi nella capitale per incontrare dei rappresentanti del governo. Le autorità ucraine, spiegano che la parte russa non vuole stabilire un contatto su questo tema e che bisogna restare in attesa. “Vogliamo soltanto che le autorità russe rispettino le convenzioni di Ginevra e che ci lascino parlare con i nostri mariti”. (Traduzione di Mauro Zanon)
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