Un Foglio internazionale

Guerra e pace a Bogdan, il villaggio dei Carpazi ucraini

È annidato in una vallata  a più di mille chilometri dal fronte, ma l’onda di choc dell’invasione russa è arrivata fin qui

Scende la notte sul tetto dell’Ucraina. A millecinquecento metri di altitudine, questo villaggio dei Carpazi dalla bellezza mistica è probabilmente l’unico luogo di tutto il paese in cui non si sente mai il rumore di una bomba né quello di una sirena, ma soltanto il rintocco dei campanacci delle pecore. Stepan Militchevitch, 47 anni, raggiunge l’alpeggio per portare le ultime notizie ai quattro pastori che, guerra o pace, devono trattare le bestie prima di far cagliare il latte. “Ho portato il vostro formaggio ai soldati del Donbas”, dice il sindaco di Bogdan, piccolo comune di questa catena montuosa situata a ovest dell’Ucraina, lungo la frontiera con la Romania. E’ appena tornato da una spedizione sul fronte a più di mille chilometri di distanza. Di poche parole come tutti pastori del mondo, i quattro uomini, che dormono sul posto, assicurano di poter contare sulla loro batteria e su un pizzico di rete per seguire il corso della guerra “su Telegram”. “E’ molto importante”, dice Vasile Tchopïouk, 45 anni, con alle spalle più di venti estati di alpeggi. “Ho parlato con il servizio militare affinché i pastori non entrino nell’esercito. Tutti possono combattere, ma pochissimi possono fare il loro lavoro. E se non ci fosse più formaggio, le persone avrebbero fame”, spiega Stepan Militchevitch, prima di riprendere il volante della sua Jeep per riscendere nella vallata.

 

Si potrebbe pensare che nulla è cambiato a Bogdan nonostante la guerra. Ma anche se i diecimila abitanti di questa vallata sono molto lontani dagli scontri, questi fanno comunque la loro parte fra le modeste case in legno di questo territorio diseredato dove risiedono gli hutsuli, minoranza montanara che suscita un fascino romantico in tutta l’Ucraina per la capacità di coltivare le proprie tradizioni e allo stesso tempo rivendicarsi fieramente ucraina. Eroe del film sovietico “Le ombre degli avi dimenticati (1965) del regista Sergej Paradžanov, questo popolo di pastori e di boscaioli si esprimeva già in lingua ucraina, una scelta mal vista da Mosca, ma che vale ormai al film di essere considerato un classico della cultura nazionale ucraina. “Le persone qui sono molto patriottiche”, assicura il sindaco di Bogdan, affermando fieramente che mille uomini della sua vallata si sono offerti come volontari all’inizio della guerra, tra cui suo fratello partito a combattere a Donetsk, nel Donbas. Questa cifra è messa in discussione da alcuni soldati di ritorno dal fronte, ma il patriottismo si estende fino al prete greco-cattolico del villaggio, che moltiplica i viaggi tra i paesi dell’Unione europea e il Donbas per consegnare veicoli. “Siamo già a ventisei”, elenca padre Volodymyr, facendo scorrere le foto sullo schermo del suo telefono. Jeep, camionette e anche un camion dei pompieri. I sei figli di questo uomo rotondo e gioviale gli permettono infatti di avere il diritto di recarsi in Repubblica Ceca, dove sono emigrati, negli ultimi anni, centinaia di abitanti del villaggio, che lo aiutano ad acquistare i veicoli usati. “E’ bene pregare, ma bisogna anche agire”, è abituato a dire questo ecclesiastico dinamico che ogni mattina, alle 9, diffonde dagli altoparlanti una preghiera patriottica dal campanile della sua chiesa. Ha anche fatto fabbricare e distribuire in tutto il villaggio delle grandi bandiere ucraine. “Le abbiamo proposte agli ortodossi, ma non le hanno prese”, si dispiace padre Volodymyr, dicendo che “queste persone indossano gli abiti tradizionali ucraini, ma sostengono ancora la Russia” (…). A Bogdan, non tutti sono ancora pronti ad adattarsi al patriottismo predicato dal sindaco e dai cattolici. In una casa isolata nella parte più alta del villaggio, raggiungibile solamente attraverso un sentiero fangoso a malapena percorribile con un’auto, Hafia, esile insegnante di 55 anni che indossa un fazzoletto sulla testa, ci riceve con grande reticenza e rifiutandosi di dirci il suo cognome. Al suo interno, riscaldata da una semplice stufa a legna, l’unico segno di modernità è un computer che le permette di assicurare i corsi a distanza. Un accessorio diventato indispensabile per questa donna che rifiuta di farsi vaccinare contro il Covid-19, nonostante l’obbligo in vigore per gli insegnanti in Ucraina. Quando facciamo una domanda a questa fervente ortodossa sulla guerra, dice di aver meno paura dell’esercito russo che “dell’Unione europea e dei suoi valori di depravazione omosessuale”. Eppure sua figlia abita da otto anni in questa Europa maledetta, e più precisamente a Montfermeil (Seine-Saint-Denis), nella periferia parigina, ma lei non ci ha mai messo piede (…). Il sindaco, che è anche un ricco uomo d’affari nel settore del legno, sta facendo costruire uno chalet per i turisti. Un simbolo di fiducia nel futuro anche se nessun abitante di Bogdan sa quando e come questa guerra finirà, né soprattutto se si avvicinerà alla loro vallata.

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