Un foglio internazionale
Viva la libertà di parola. La lezione del caso Rushdie
Non è un diritto astratto: va messo in pratica altrimenti lo perdiamo. L'insegnamento dell'autore colpito dalla fatwa e di Henry Reese, che l'ha ospitato sul palco su cui ha rischiato la vita
L’uomo che stava per intervistare Salman Rushdie alla Chautauqua Institution venerdì 12 agosto, quando un potenziale assassino è salito sul palco con un coltello, è un ex imprenditore del telemarketing settantatreenne di nome Henry Reese. Indossa un papillon, ha una voce bassa e rauca, e non ama stare al centro dell’attenzione. Ma Reese e sua moglie, Diane Samuels, sono tra le persone ordinarie più notevoli in America”. Così inizia il racconto di George Packer sull’Atlantic.
Reese e sua moglie “hanno trasformato una strada derelitta di Pittsburgh in un rifugio per scrittori e artisti perseguitati di tutto il mondo. Si chiama City of Asylum, ed è una rappresentazione fisica del valore universale della libertà d’espressione. Questo ha un nesso con ciò che è accaduto venerdì, solo due ore e mezzo a nord da qui. La Chautauqua Institution è un’idilliaca comunità sul lago, su una strada con architettura vittoriana con un cancello d’ingresso. I visitatori paganti – molti dei quali sono pensionati della middle class del Midwest – restano circa una settimana, frequentando seminari e spettacoli di arte, musica, letteratura, idee e religione. L’istituzione è stata fondata nel 1874 basandosi su una corrente tollerante del protestantismo americano che all’epoca andava per la maggiore e oggi è piuttosto assente. Ho parlato da quel palco sei settimane fa, e Chautauqua sembrava un mondo a parte, rarefatto, un luogo da sogno e un po’ fragile. Ovviamente, non c’era quasi alcuna misura di sicurezza – la violenza in questo luogo era inimmaginabile”.
L’uomo accusato di aver compiuto l’attacco, Hadi Matar, sosteneva di applicare le leggi eterne di un vecchio libro, scrive Packer, ma in realtà proveniva dal mondo contemporaneo alle porte di Chautauqua – un luogo di odi irrazionali, minacce online e autocensure, dove le idee non vengono discusse ma imposte con la violenza. L’amicizia tra Reese e Rushdie ha avuto inizio nel 1997, quando l’imprenditore e sua moglie parteciparono a una lezione di Rushdie all’Università di Pittsburgh. Lo scrittore si stava lentamente reinserendo nella vita pubblica dopo avere ricevuto la condanna a morte nel 1989 dall’Ayatollah Ruhollah Khomeini in Iran.
Dopo la fatwa, Rushdie aveva contribuito a fondare il Parlamento internazionale degli scrittori per fornire solidarietà e protezione agli intellettuali in pericolo in tutto il mondo, specialmente in Algeria. Questo ha persuaso Reese e Samuels ad aprire uno di questi centri nella loro comunità, per offrire sicurezza, rifugio e sostegno agli scrittori e artisti perseguitati in Etiopia, Siria, Venezuela, Vietnam, El Salvador, Cuba e Algeria. A poco a poco, gli inquilini di Sampsonia Way hanno ridato vita a questo grigio edificio, colorando le facciate con calligrafie cinesi, murali burmesi, arte jazz e un mosaico che riprende un passaggio dello scrittore nigeriano Wole Soyinka, trasformando la strada in una sorta di biblioteca. City of Asylum non era un rifugio temporaneo ma una comunità duratura.
“L’apertura della scrittura è una forma di giustizia sociale”, sostiene Reese. “I valori dell’apertura e della protezione sono ciò che consentono a una società di ottenere giustizia. Si tratta di un dialogo, per nulla uniforme, e questo è ciò che è diventato il progetto di Rushdie e l’idea delle città dell’asilo”. Reese ricorda i momenti che hanno preceduto l’agguato ai danni di Rushdie. Lui e lo scrittore si erano incontrati a cena la sera prima, parlando dei temi che avrebbero affrontato durante l’incontro: Rushdie voleva parlare degli scrittori stranieri che stavano ridefinendo la letteratura americana. Il tema di fondo era l’origine e lo scopo delle città dell’asilo, il significato reale della libertà d’espressione, oltre la “lingua astratta”. Ma l’aggressore ha colpito prima che Reese o Rushdie dicessero una parola.
Quando Rushdie è stato colpito, alcuni membri del pubblico – signori in pantaloncini con i capelli bianchi, il popolo di Chautauqua – si sono fiondati sul palco per disarmare l’aggressore e soccorrere lo scrittore. Tutti mostrano il meglio nei momenti di crisi – sostiene Packer – e può darsi che Rushdie si sarebbe salvato ovunque. Tuttavia, è importante notare che lo scrittore è ancora vivo grazie a due persone che condividono i suoi stessi valori: lo scambio libero di idee, la libertà dalla persecuzione. “Questo è un attacco contro i valori della libertà, e la risoluzione dei conflitti attraverso l’arte, la letteratura e il giornalismo, non la violenza”, ha detto Reese, che ha visto l’attacco come una manifestazione intensa del genere di persecuzione che porta gli scrittori alla Città dell’Asilo. “Mi ha restituito una connessione molto viscerale e personale, e credo che lo stesso valga anche per Salman, probabilmente è una sensazione che non ha mai dimenticato – ma ora lo ha segnato in modo permanente, oltre che nel fisico”.
“La libertà di espressione è un valore universale che deve essere garantito dalla legge per avere forza – conclude Packer – ma non può sopravvivere come concetto astratto. Si basa sull’opinione pubblica. ‘Se un gran numero di persone si interessano alla libertà di espressione, ci sarà libertà di espressione, anche se la legge lo vieta’, scrisse Orwell: ‘Se l’opinione pubblica è lenta, le minoranze verranno perseguitate, anche se protette dalle leggi esistenti’. La libera espressione ha bisogno di fondamenta. Ha bisogno di una comunità che esprima tolleranza e fiducia tale da evitare che le persone si uccidano a vicenda per delle idee. Ha bisogno di persone disposte a difendere il diritto – la vita – di chi dice ciò che loro non vogliono sentire”.
Traduzione di Gregorio Sorgi
Il Foglio internazionale