Un Foglio internazionale
Anna Colin Lebedev: “Gli ucraini sanno che possono cambiare il corso della loro storia”
“Né agente del Cremlino, né agente di Kyiv”. La docente ed esperta spiega a Le Point le divergenze tra due popoli che risalgono a prima di Maidan 2014 e i motivi della resistenza ucraina
Quando è scoppiata la guerra in Ucraina, i suoi interventi su Twitter si sono fatti notare per la loro serietà e pertinenza. Anna Colin Lebedev, docente all’università di Nanterre, interviene dal 2010 per parlare di Russia e Ucraina attraverso blog e podcast. Lei che ha studiato in Russia, convinta della centralità delle questioni russe, ha scoperto l’Ucraina nel 2008 quando ha lavorato sui veterani ucraini della guerra in Afghanistan. Ha anche imparato la lingua ucraina. Il suo libro “Jamais frères?” aveva bisogno di un punto interrogativo? In quest’opera densa, precisa e implacabile cerca di descrivere tutto ciò che separa da molto tempo e sempre di più le società russa e ucraina. “Siamo un unico popolo”, dichiarava Putin nel 2021. Anna Colin Lebedev, che confessa di sentirsi lacerata da questa guerra, gli risponde punto per punto. “Né agente del Cremlino, né agente di Kyiv”, aggiunge. Julien Peyron e François-Guillaume Lorrain l’hanno intervistata.
Le Point – E’ stata la frase pronunciata da Putin sull’Ucraina nel luglio del 2021, “Siamo un unico popolo”, a determinare la scrittura di questo libro che prova esattamente il contrario?
Anna Colin Lebedev – L’idea era già uscita dalla sua bocca, ma non l’aveva mai formulata in maniera così esplicita. Ho voluto contrastarla con un’altra frase, pronunciata da una poetessa ucraina davanti alle telecamere a Maidan nel 2014: “Non saremo mai fratelli, né della stessa patria né della stessa madre”.
Il presidente Putin, tuttavia, rimane piuttosto nelle retrovie nel suo libro, che si concentra sulle società dei due paesi…
Non mi interesso alla decisione politica che ha condotto la Russia verso la guerra, ma a cosa sta avvenendo in profondità tra le due società. Le divergenze risalgono a molto prima di Maidan nel 2014. Già durante l’Urss, negli anni Cinquanta e Settanta, i russi ignoravano ciò che era accaduto agli ucraini negli anni Trenta; la loro storia non era né completamente comune né ben nota. Ma dopo la caduta nel 1991, le ex repubbliche dell’Urss hanno seguito la loro strada, indifferenti ai loro ex compatrioti. Il lavoro dei media russi è consistito, a partire dal 2014, nel fare della politica ucraina, tema che interessava poco ai russi, una questione centrale e interna. I russi ritenevano che le scelte politiche degli ucraini, anche quelle discutibili, non li riguardavano. Erano preoccupati della loro sopravvivenza, non della loro grandeur. Volevano anzitutto portare avanti una vita degna, prospera, avere un sistema politico di cui non vergognarsi. Guardavano altrove, in Europa, verso gli Stati Uniti, non verso le ex repubbliche dell’Urss. Certo, constatavano con un po’ di fastidio che la loro sfera di influenza si restringeva, che l’uso della lingua russa si riduceva, ma si è dovuto attendere la fine del primo decennio del Duemila, con il discorso di Putin a Monaco sull’occidente ostile, per il ritorno del tema della grandeur e dell’influenza sui paesi vicini.
L’Europa ha scoperto una capacità di organizzazione e di resistenza degli ucraini che lei aveva già constatato…
Quando sono arrivata come ricercatrice in Ucraina nel 2008, ho lavorato sui movimenti sociali, in particolare sui veterani della guerra in Afghanistan, ma anche su altre Ong. Mi ripetevano: la società civile in Ucraina è debole, gli attivisti si impegnano solo per i soldi o per la loro carriera. Ma gli ucraini di questi ultimi trent’anni sono stati politicamente molto attivi. Quando c’è una causa da difendere, l’ucraino costruisce una tenda e si insedia nella piazza pubblica. Non sarà necessariamente ascoltato dal potere, ma non sarà neppure sloggiato. E talvolta le rivendicazioni hanno prodotto risultati. E’ una mobilitazione à la Sisifo, bisogna ricominciare senza sosta. Gli ucraini sono sempre stati critici verso il loro stato, verso il loro esercito. Tutti evitavano il servizio militare, sinonimo di tangenti e di compiti assurdi, ma a partire dalla guerra in Donbas si sono arruolati in massa rimediando alle lacune dello stato. E’ la debolezza dello stato ucraino la chiave della forza degli ucraini.
A quando risale esattamente l’attrazione degli ucraini per l’Europa e per l’occidente?
Prima della rivoluzione di Maidan, un terzo degli ucraini diceva di volersi avvicinare all’Unione europea, un terzo pensava che il futuro dovesse essere costruito con il grande vicino russo e un terzo era indeciso. L’annessione della Crimea ha provocato uno stravolgimento. L’effetto ottenuto da Putin è contrario a tutto ciò che desiderava. Ha contribuito a unificare la nazione ucraina.
E’ rimasta sorpresa dall’attacco russo del febbraio 2022?
Sono rimasta sorpresa, sì. Soprattutto perché ero convinta che i circoli del potere a Mosca fossero stati avvertiti della buona preparazione e della determinazione degli ucraini. La resistenza ucraina di quest’inverno non è stata una sorpresa per me. La sorpresa, invece, è che la Russia non l’abbia anticipata.
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