La lezione iraniana 

A Teheran uomini e donne si aiutano a vicenda per sconfiggere il regime dei mullah. Un caso unico: le femministe occidentali prendano nota

Ci siamo? Questa potrebbe essere, finalmente, la fine della Repubblica islamica dell’Iran? Nei giorni in cui grandi folle di uomini e donne si riversano nelle strade iraniane bruciando gli hijab e invocando ‘morte a Khamenei!’, questo è un sogno impossibile che sta infine per avverarsi?”. Così inizia l’articolo della commentatrice Ayaan Hirsi Ali, femminista e critica dell’Islam, sul sito UnHerd.

Le prospettive sembrano essere migliori rispetto al passato, quando i dimostranti provenivano per lo più dalla classe media e protestavano contro la vittoria alle elezioni di Ahmadinejad, senza pretendere il rovesciamento del sistema oppressivo nel suo insieme. “Oggi uomini e donne, città e provincia, ricchi e poveri, sono in marcia per far cadere la Repubblica islamica. A quanto pare, Khamenei si trova in un pessimo stato di salute, quindi i cori della piazza potrebbero avverarsi. Tuttavia, i funzionari americani con cui ho parlato hanno predicato cautela spiegando che in passato abbiamo spesso creduto che l’Iran stesse per cambiare direzione, ma poi siamo rimasti delusi. Queste stesse fonti hanno anche indicato che l’America non vuole essere coinvolta: l’Amministrazione Biden non sostiene i manifestanti, ma non li vuole nemmeno scoraggiare esplicitamente. Questo non è il classico esempio di una politica codarda: temo che la fine del regime non risulterà in un mondo nuovo ma piuttosto in un macello, per cui la morte di Khamenei verrà seguita da una lotta intestina per il potere tra varie fazioni iraniane. Il rovesciamento del regime porterà a una guerra civile, un colpo di stato militare o la liberal-democrazia? Nessuno lo sa”. 

Secondo Ayaan Hirsi Ali, le proteste degli ultimi giorni mostrano quanto sia stata sbagliata la politica americana nei confronti dell’Iran, culminata nell’accordo sul nucleare del 2015. Questo avrebbe dato al regime “tempo, spazio, e denaro” per rafforzare la polizia morale, l’apparato di sicurezza statale, oltre che per estendere la propria influenza regionale. “Se nessun accordo fosse stato firmato forse la crisi del regime sarebbe arrivata prima. E non dobbiamo dimenticare che di recente l’Iran ha provato a rapire e uccidere alcuni cittadini americani sul territorio americano, o che alcuni alti funzionari statunitensi credono che dietro il tentato omicidio dello scrittore Salman Rushdie ci sia lo zampino di Teheran. E’ una disgrazia nazionale che i politici americani siano scesi a patti con i macellai di Teheran in primo luogo. E in troppi credono che possiamo tranquillamente sederci al tavolo per rinegoziare l’accordo nucleare. Non rimprovererei uomini e donne coraggiosi dell’Iran se non ci perdonassero questa miope idiozia”. Malgrado la giusta cautela dell’occidente, Hirsi Ali crede che le proteste degli ultimi giorni siano un fenomeno unico e di grande ispirazione. “Da nessun’altra parte del mondo musulmano – e intendo, letteralmente, da nessun’altra parte – vedremmo ciò che stiamo vedendo in Iran; uomini e donne, insieme, che si difendono l’un l’altro, e pretendono giustizia per l’uccisione da parte del regime di una donna che ha osato mostrare i suoi capelli. Vale la pena ripeterlo: gli uomini dell’Iran sono al fianco delle donne mentre bruciano i loro hijab”. 

Questa, secondo l’autrice, è un’ulteriore prova che l’Iran è diverso dagli altri paesi mediorientali. Ci sono tante donne iraniane in carriera: dottoresse, scienziate, artiste e scrittrici. La chiave del loro successo sta nel fatto che gli uomini sostengono le proprie ambizioni. Non sorprende più di tanto che le proteste siano state accese dalla famiglia di Mahsa Amini, in particolare dal padre che ha avuto il coraggio di accusare le autorità di avere insabbiato le circostanze in cui è morta sua figlia – questo è un emblema della solidarietà offerta da molti uomini iraniani. Hirsi Ali precisa che questo non si verifica in tutto il paese e che, anche in Iran, molte donne continuano a essere maltrattate dalla propria famiglia. Ma il fenomeno è comunque meno diffuso rispetto al resto del mondo islamico, dove gli uomini sono spesso più zelanti delle autorità e puniscono le donne sostenendo che gettino discredito sulla famiglia.

“Questo è uno dei motivi per cui l’Iran è così unico: non solo gli uomini appoggiano pubblicamente le donne, ma queste ultime sanno di non essere minacciate dai loro mariti e parenti uomini; altrimenti non oserebbero scendere in prima linea come hanno fatto. Prendete come esempio i bellissimi video delle donne che gettano i veli nei falò e ballano con gioia, in mondovisione. Se credessero che i loro padri o fratelli le stiano aspettando a casa per punirle, dubito che vedremmo delle proteste su questa scala. Nel frattempo in occidente, dove il femminismo ha avuto più successo rispetto ad altrove, il rancore contro gli uomini è largamente diffuso, e la solidarietà tra sessi viene sostituita da una polarizzante politica identitaria”. 

L’autrice dice di preferire il femminismo iraniano a quello americano: uomini e donne che combattono insieme, e difendono insieme i loro diritti. “Questo è meglio dei talebani violenti che odiano le donne, o del privilegio petulante di molte femministe occidentali”, scrive Hirsi Ali: “Nel marzo 1979, mentre l’Ayatollah Khomeini saliva al potere, la femminista americana Kate Millett viaggiava in Iran per prendere parte a una protesta contro l’obbligo di hijab. Questa manifestazione non ebbe successo. Millett fu arrestata ed espulsa dal paese, e le donne iraniane diventarono delle cittadine di seconda classe. Tuttavia, ora stiamo scoprendo che il loro spirito rivoluzionario non è morto. Negli anni il femminismo iraniano è sopravvissuto; non è stato corrotto. Se solo si potesse dire lo stesso per l’occidente”.

 

(Traduzione di Gregorio Sorgi)

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