Un Foglio internazionale
“I russi si sentono selvaggina dinanzi a uno stato predatore invincibile”, dice Dmitry Glukhovski
Sul Monde il romanziere moscovita in esilio spiega che i suoi connazionali in realtà non appoggiano la guerra in Ucraina
Dmitry Glukhovksi, 43 anni, è un celebre scrittore di fantascienza. Il suo primo romanzo, “Métro 2033”, che descrive un mondo apocalittico in cui gli ultimi uomini sopravvivono in profondi sotterranei, ha riscosso un immenso successo popolare in Russia. Ma anche all’estero, dove è stato tradotto in una ventina di lingue. Residente in Europa dal mese di gennaio, Glukhovksi rischia fino a dieci anni di prigione in Russia per aver “screditato le forze armate” postando sul suo account Instagram queste parole: “No alla guerra in Ucraina. Ammettete che si tratta di una vera e propria guerra contro tutto il popolo ucraino e fermatela!”.
Le Monde – Come ha reagito, lo scorso 24 febbraio, all’invasione russa dell’Ucraina?
Dmitry Glukhovski – È come se un sipario nero fosse sceso davanti ai miei occhi; forse era una scarica di adrenalina…mi sono chiesto se esprimermi, o meno, sul mio account Instagram, che è seguito da 200mila followers. Ero consapevole che farlo mi avrebbe esposto al rischio di non poter tornare in Russia e di perdere tutto ciò che possiedo laggiù. Per trenta secondi, ho esitato. Poi ho pensato a miei amici in Ucraina. E ho capito che mi era impossibile far finta che non ci fosse la guerra. Tutto era troppo nero e bianco: l’aggressore e l’aggredito; la vittima e il carnefice. Non potevo restare in silenzio e ho dunque deciso di scrivere un post contro la guerra su Instagram.
Sei mesi dopo, il 21 settembre, il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato una “mobilitazione parziale” e organizzato dei simulacri di referendum nelle zone occupate dell’Ucraina. Per molti è stato un altro choc. E per lei?
Sono tre i giorni in cui questo sipario nero è sceso davanti ai miei occhi. Il primo è il 24 febbraio. Il secondo corrisponde alla rivelazione dei crimini di Butcha (il 1° aprile, quando le forze ucraine sono tornate in questa città della periferia di Kyiv occupata dai russi). Per me, come individuo e scrittore, è qualcosa di incomprensibile dal punto di vista psicologico: come potevano dei soldati che combattevano da appena due settimane commettere tali crimini di guerra? Il terzo giorno corrisponde al 21 settembre, quando ho capito che nessuno in Russia avrebbero fermato Putin, nonostante stesse trascinando il paese in una guerra totale. Perché questa guerra non è solamente contro l’Ucraina. È anche contro il popolo russo. È una guerra contro il futuro della Russia, per mantenere il suo popolo in uno stato di schiavitù, affinché Putin possa conservare il suo regime politico nel sangue, anche dopo la sua morte.
Perché la reazione della popolazione russa è così debole? Perché si vedono poche persone in strada, anche dopo l’annuncio della mobilitazione?
Penso che ci siano due fattori. Il primo è la paura. Il ricordo dell’epoca staliniana e della repressione impregna ogni famiglia russa, attraverso i racconti dei nonni e l’educazione trasmessa dai genitori. Tutti quelli che oggi vivono nel nostro paese hanno ricevuto questa “buona” educazione secondo cui contraddire le autorità non porta nulla di buono e la punizione è inevitabile. La coesistenza tra lo stato e l’individuo è paragonabile a quella di un predatore invincibile e di piccoli animali che tentano di nascondersi dietro di lui. Non bisogna attirare la sua attenzione, non bisogna incrociare la sua strada. E non bisogna irritarlo mai. È la condizione per poter condurre un’esistenza pacifica. Fino al giorno in cui, purtroppo, questo predatore vi schiaccia e vi divora. L’abituale strategia delle persone consiste nel fare come se si fosse invisibili. È per questo motivo che l’unico movimento di massa che osserviamo oggi in tutto il paese è il movimento migratorio. Le persone fuggono perché è l’unica cosa che possono fare. Nessuno crede che una protesta possa produrre dei risultati. Nel corso degli ultimi vent’anni, Putin ha praticato la repressione, sistematicamente. Non in maniera crudele e massiccia come all’epoca di Stalin. Ma ha saputo smembrare l’opposizione – parzialmente addomesticata, parzialmente castrata, parzialmente distrutta o spinta verso l’esilio. La stessa cosa vale per tutti i movimenti sociali, giovanili, fino ai tifosi di calcio e alle organizzazioni di ex combattenti. Tutti, in un modo o nell’altro, sono distrutti o controllati dall’amministrazione presidenziale e dal Servizio federale di sicurezza (Fsb). Non c’è nessuno per organizzare la resistenza.
Traduzione di Mauro Zanon
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