un foglio internazionale
Il ritorno alla vita tra le macerie della guerra. “Ma i pro russi ora se ne vadano”
A Lyman e Sviatohirsk, due città del Donbas liberate in autunno, le autorità ucraine si impegnano a ripristinare lo stato di diritto
Vestita con un cappotto rosso, Galina, 74 anni, prepara una zuppa di verdure su un braciere installato ai piedi del suo edificio di cinque piani, sventrato da un missile, a via Terechkova. Come migliaia di abitanti di Lyman (nord del Donbas), non ha più acqua, né elettricità, né gas, né riscaldamento dall’inizio dell’estate. Sorridente, mescola il suo brodo chiacchierando con il suo vicino di pianerottolo, un signore alto dal volto duro, seduto su una panca. Galina, che ci ha comunicato solo il suo nome, riesce a mantenere il buonumore nonostante la situazione catastrofica. “Non so come passeremo l’inverno”, dice senza smettere di sorridere. “Per ora, il tempo è clemente, ma cosa succederà quando la temperatura andrà sotto lo zero?”, si chiede. Il suo edificio è colpito da tutte le parti, a causa dei bombardamenti permanenti subiti dalla città tra l’inizio del mese di aprile e la sua conquista il 27 maggio da parte delle forze russe. Snodo ferroviario senza interesse dove risiedevano 20 mila abitanti prima dell’invasione, Lyman ricopriva un’importanza strategica per l’esercito russo, che privilegia le rotaie per la sua logistica. Lyman è stata riconquistata dall’esercito ucraino lo scorso 1° ottobre.
“Mio marito non riesce ad alzarsi, è malato. Siamo rimasti qui per questo. I combattimenti sono stati molto più lunghi e duri rispetto a quando l’esercito ucraino ha ripreso il controllo della città”, spiega Galina. Entrambi hanno passato la primavera nella cantina dell’immobile con quaranta persone. Il suo appartamento è esposto a nord-est, da dove proveniva l’attacco russo. La facciata sud-ovest non mostra alcun danno al di là di alcune finestre frantumate. “Non sono in grado di spiegare ciò che è accaduto”, spiega Galina. “E’ come se fossi rimasta in una scatola nera per quattro mesi. Non avevamo alcuna comunicazione con il mondo esterno, né televisione, né telefono, né internet. Non so a chi credere. Forse sono gli Stati Uniti e la Russia che si scontrano”, dice, riprendendo un leitmotiv della propaganda russa (…). A sessant’anni, Vladimir Dvorkin ne dimostra dieci in più; ha appena ricevuto il suo pacco alimentare e lo sistema lentamente nel carrellino della spesa. “Vede questo immobile, abitavo lì”, dice senza emozioni. Indica un edificio che una volta era alto cinque piani, e di cui oggi restano soltanto alcuni pezzi di cemento al piano terra. “Ora vivo in una scuola con una decina di persone. Non ho più nulla”, sospira questo elettricista ancora in attività. Nessuna abitazione, nessun edificio di Lyman è indenne, e molti sembrano irreparabili. Dall’altro lato dei binari, nella parte residenziale di Lyman, una folla agitata e ansiosa si accalca all’entrata del commissariato di polizia. Il commissario municipale, Ihor Ugnevenko, spiega al Monde che si tratta di una misura indispensabile: “Chiediamo a tutti di venire qui per un processo di verifica. Sia quelli che sono rimasti durante l’occupazione russa, ossia circa il 20 per cento della popolazione, sia quelli che sono tornati a casa. Inseriamo i nomi degli abitanti in una banca dati del ministero dell’Interno, il che ci permette di verificare chi ha collaborato col nemico. E chi si è distinto per la sua attività separatista. Ci sono stati saccheggi, furti, stupri. Tutti devono rispondere davanti alla legge. E’ così che ristabiliremo lo stato di diritto”.
Venti chilometri più a ovest, nella città vicina di Sviatohirsk, il capo della polizia municipale vede le cose diversamente. “Nessuno è obbligato a venire da noi. Non c’è un filtraggio come nell’Rpd (la “Repubblica popolare di Donetsk”, stato separatista pro russo autoproclamato nell’aprile del 2014 e annesso da Vladimir Putin lo scorso settembre, ndr), ma delle misure di stabilizzazione. Qui, viviamo nell’Ucraina libera”, precisa Roman, un uomo di bassa statura, che insiste affinché il suo cognome non venga pubblicato. Di primo acchito, Sviatohirsk è l’antitesi di Lyman. Sprovvista di industria, è un alto luogo dell’ortodossia e del turismo. Situata tra una graziosa foresta di pini al nord e una scogliera al sud, ai piedi della quale si nasconde l’illustre Sviatohirsk Lavra, il monastero ortodosso che, fino a poco tempo fa, era ancora affiliato al patriarcato di Mosca. Ma al di là di queste attrazioni, la città condivide con Lyman lo stesso grado di devastazioni nella pietra e di confusione negli spiriti. “Sì, ci sono ancora dei pro russi qui. Facciano le valigie e se ne vadano”, tuona un poliziotto, prima di correggere il tiro: “L’Ucraina è uno stato di diritto e dunque devo offrire anche a loro la mia protezione. Il mio principale obiettivo è quello di restaurare la fiducia. Ho bisogno di conoscere il numero di abitanti per far fronte ai loro bisogni umanitari e securitari. Il principale problema, oggi, è la rimozione delle mine”.
(Traduzione di Mauro Zanon)
Il Foglio internazionale