Un Foglio internazionale
Fino a dove si spingerà Putin?
Con Giuliano da Empoli e Jean-François Colosimo un dibattito sul presidente russo organizzato dal Figaro
L’8 novembre scorso, Giuliano da Empoli, politologo, scrittore e autore del libro “Le Mage du Kremlin”, insignito del grand prix du roman de l’Académie française, e Jean-François Colosimo, storico, teologo e autore del saggio “La Crucifixion de l’Ukraine”, hanno dibattuto a lungo davanti ai lettori del Figaro sulla personalità del presidente russo, provando a comprendere i meccanismi del putinismo senza per questo giustificare la sua politica del terrore. Alexandre Devecchio e Raphaël Pinault del Figaro li hanno intervistati.
Le Figaro – “I russi erano cresciuti in una patria e si ritrovavano improvvisamente in un supermercato”, scrive nel libro “Le Mage du Kremlin”. Per capire la guerra in Ucraina, è necessario ricordarsi del marasma economico e politico russo dopo la caduta del muro di Berlino?
Giuliano da Empoli – In un certo senso credo di sì, in quanto vincitori c’è stata da parte nostra una mancanza di curiosità verso chi ha perso. Nel corso degli anni Novanta, in Russia, c’è stata una sorta di cataclisma politico, culturale e economico. Durante quel periodo, tutti i valori che prevalevano, anche se erano dei valori ipocriti, si sono dissolti. Quei valori erano legati al sistema sovietico e corrispondevano a una sorta di “sogno sovietico” che a sua volta è svanito. Questo sogno non lo abbiamo visto perché era modesto rispetto al “sogno americano”: consisteva per esempio nell’intraprendere una piccola carriera di funzionario di stato, fatto che implicava un certo train de vie, che prevedeva l’acquisto di un’auto o qualche settimana di vacanze sulle rive del mar Nero. Tutto questo sistema si è sgretolato da un giorno all’altro e ha lasciato posto nel corso degli anni Novanta a una sorta di Disneyland per uomini muniti di Kalashnikov. Era una specie di regime di sperimentazione democratica radicale, regime che si basava allo stesso tempo su un capitalismo selvaggio. Ciò si è concluso alla fine degli anni Novanta con il fallimento dello stato russo, che era incapace di pagare le pensioni e gli stipendi, con il crollo del rublo e della Borsa di Mosca, e dell’influenza internazionale di questo regime. In nome dell’Unione sovietica, nel corso degli anni precedenti, si erano potuti giustificare dei grandi sacrifici. I russi e i cittadini sovietici in generale consideravano che la loro vita fosse difficile, ma che trovasse una giustificazione. Erano convinti di costruire qualcosa e di ispirare il rispetto nel mondo, ma ciò si è concluso alla fine degli anni Novanta.
Jean-François Colosimo – Cos’è successo alla Russia? Bisogna notare anzitutto che il cuore dell’Impero zarista ha vissuto dal 1917 al 1991 qualcosa che nessun paese satellite dell’est ha vissuto dal 1945 al 1989. Ossia un cratere abissale che, inghiottendo tre generazioni, ha provocato una rottura memoriale. Al punto che nel 1991 nessuno a Mosca poteva ricordarsi del mondo che esisteva prima. Se non fosse che, dai suoi inizi, la Russia soffre di questo stesso trauma esistenziale che l’esperienza sovietica ha moltiplicato. Ha il timore perpetuo dell’agonia perché ha rischiato di farsi spazzare via alla sua nascita dalle grandi potenze dell’epoca. Questa sindrome si manifesta fra le altre cose nell’idea che la sua vasta superficie, difficile da proteggere, la espone all’accerchiamento. Ciò spiega la convinzione parallela di essere continuamente minacciata da una sorta di apocalisse. Questi sentimenti originari di minacce permanenti contribuiscono ad ampliare il vuoto nero di memoria che ha il comunismo ha scavato; E che Putin alimenta deliberatamente, impegnandosi a promuovere l’amnesia, rigettando nell’oblio i crimini dei Gulag e procedendo a una lobotomia collettiva.
Giuliano da Empoli, il suo romanzo può essere letto come una riflessione sul potere e sugli uomini di potere. Cosa succede nella testa di Vladimir Putin? E’ pazzo?
Mostrarsi privo di razionalità in una posizione di debolezza può permettere di ottenere il rispetto, e penso che sia una regola universale. Ciò vale in qualsiasi luogo e in qualsiasi periodo, come la Russia in posizione di debolezza rispetto agli Stati Uniti o all’occidente. Dare l’impressione di essere pazzo, di poter agire in maniera imprevedibile: ecco uno degli elementi su cui si basa oggi la strategia di Putin, anche in materia di ricatto nucleare. E’ la miglior strategia per guadagnare il rispetto e ciò rappresenta per noi un problema perché non sappiamo ciò che accade veramente nella sua testa. La mia opinione è che Vladimir Putin sia un uomo di potere privo di scrupoli. E che in quanto uomo di potere giochi di conseguenza sull’ideologia, sulla storia del suo paese e su tutto ciò di cui ha parlato Jean-François Colosimo. Vladimir Putin gioca allo stesso tempo sulla psicologia dei russi, e lo fa in maniera cinica. Penso che Vladimir Putin sia un uomo di potere che utilizza le idee per arrivare ai suoi scopi.
Jean-François Colosimo, lei ha spesso sottolineato fino a che punto Putin è stato per anni un formidabile giocatore di scacchi sul piano geopolitico dinanzi all’occidente. Il giocatore di scacchi ha rovesciato il tavolo, forse a sue spese. Come se lo spiega?
Putin ha effettivamente sconvolto lo scacchiere planetario aggredendo l’Ucraina. Uno scacchiere su cui ha giocato d’azzardo per molto tempo ottenendo dei vantaggi minori. Certo, aveva ereditato dall’Urss il suo arsenale nucleare e il suo seggio al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ma per il resto il Pil della Russia equivaleva a quello della Spagna. Bisogna dunque ammettere che ha segnato dei punti sorprendenti. In Transnistria anzitutto, in Georgia e in Crimea in seguito, e infine in Siria. Prima di dare una spallata alla Francia nell’Africa occidentale, in Mali e in Burkina Faso. Ha approfittato delle nostre debolezze. Ho dei dubbi invece, per quanto mi riguarda, sulla sua pazzia. O allora, per riprendere le parole di Chesterton, è pazzo nel senso di colui che ha perso tutto tranne la ragione (…). Putin è per me un nichilista, ma anche un manicheo, in riferimento a questa forma religiosa antica, ma persistente nella storia, dove esistono soltanto il bene e il male senza nessuna zona intermedia. Secondo tale rappresentazione, l’altro è necessariamente il male e bisogno eliminarlo, distruggerlo al termine di una lotta finale di tipo apocalittico.
(Traduzione di Mauro Zanon)
Il Foglio internazionale