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un foglio internazionale

Il Nagorno Karabakh isolato dall'Armenia e dal resto del mondo

Un popolo intero si spegnerà lentamente sotto i nostri occhi impotenti con il metodo militare più ancestrale del mondo: l’accerchiamento. Scrive la Revue des Deux Mondes (15/12)

L’11 dicembre 2022 – scrive Taline Kortian – un consistente gruppo di manifestanti azeri, composto da militanti “ecologisti” e giornalisti ufficiali, molto probabilmente incoraggiati dallo Stato azero, ha bloccato militarmente, da Susa (ora in Azerbaijan), il corridoio di Laçin. Era l’unica strada che collegava il Nagorno Karabakh all’Armenia e al resto del mondo, il suo cordone ombelicale. La provincia autonoma armena è ora totalmente un’enclave. L’Assemblea nazionale dell’Artsakh (Nagorno Karabakh), la mattina del 12 dicembre 2022, ha dichiarato: “L’autostrada Stepanakert-Goris sul corridoio di Laçin è bloccata dall’Azerbaijan da più di tredici ore”. E lo è ancora. Il ministero degli Esteri armeno ha denunciato “un blocco, una crisi umanitaria, una crisi alimentare” e “una violazione delle due clausole di cessate-il-fuoco”: la protezione del corridoio da parte dei Caschi blu russi e la libertà di circolazione, un tempo garantita agli armeni. Il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha “chiesto aiuto a Putin”, secondo le dichiarazioni ufficiali del suo governo. Gli armeni dell’Artsakh, in pieno inverno, rigido oltretutto, si ritrovano totalmente isolati e sottomessi alla penuria di tutto ciò che per loro è vitale. Nessun import né export è possibile. Condannati a morire di fame, di freddo e di angoscia man mano che le riserve si esauriranno (…). 

 

I 30 mila bambini del Nagorno Karabakh non vanno più a scuola e si confinano con i loro genitori, tra appartamenti e scantinati. Pochi giorni prima della partenza, prevista il 19 dicembre 2022, degli osservatori europei alle frontiere armeno-azere (i quali non sono mai potuti entrare nel Nagorno Karabakh e la cui missione non continuerà per Josep Borrell, rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri), sono uomini, donne, bambini, neonati, anziani, un popolo intero che si spegnerà lentamente sotto i nostri occhi impotenti con il metodo militare più ancestrale del mondo: l’accerchiamento. Secondo Stepanakert, i servizi speciali azeri avrebbero anche piratato gli account Facebook degli abitanti dell’Artsakh per diffondere voci di evacuazioni d’emergenza caldamente consigliate. La polizia del ministero dell’Interno del Nagorno Karabakh ha affermato di non aver ancora chiesto alla popolazione di partire. E anche se fosse, come partirebbe? Attraverso quale via? (…). 

 

La Russia non ha rispettato il ruolo di gendarme che si era attribuita nella regione dal 10 novembre 2020 per cinque anni, e i suoi Caschi blu, due anni dopo, non hanno stoppato l’invasione azera e onorato le clausole di un cessate-il-fuoco che era stato deciso proprio sotto l’egida di Mosca. De facto, è la terza volta in quattordici mesi che la Russia non impedisce l’aggressione o l’invasione, per non parlare dei piccoli lembi di territorio rosicchiati ogni giorno da due anni a questa parte a livello delle frontiere ormai incerte nella pratica, rappresentanti ufficialmente 50 chilometri quadrati del territorio sovrano armeno. Non è questione di essere pro armeni o pro azeri, ma di posizionarsi dinanzi a un processo di ghettizzazione, una pulizia etnica cronica senza un massacro troppo evidente, ad eccezione di tutti gli episodi di crimini di guerra di notorietà pubblica. Nessuno, ora, può affermare che la popolazione armena possa uscire dalla regione in sicurezza, supponendo, tra l’altro, che abbia i mezzi finanziari e tecnici per l’esodo (macchina, costo della benzina, viveri, accoglienza d’emergenza in Armenia). Il giocatore dell’Inter, Mkhitaryan, di origine armena, si è espresso pubblicamente sull’urgenza della situazione (…). 

 

Come per Varsavia negli anni bui, ci si ricorderà del Nagorno Karabakh anche se è lontano, più lontano, troppo lontano da noi. Ci si ricorderà anche degli atti e dell’attendismo di quelli che hanno ancora il potere di agire per salvare dei civili, 146.673 vite se le cifre ufficiali sono corrette, 120 mila secondo le nostre ultime stime. Se nessuno si risveglia in “questa notte”, con delle soluzioni concrete, bisognerà accettare l’irreparabile con imbarazzo, e anche vergogna: nel migliore dei casi, il Nagorno Karabakh sarà integralmente desarmenizzato. Pulizia etnica: si svuota la regione della sua popolazione ancestrale e si cancellano tutte le tracce della sua presenza, distruggendo tutto il suo patrimonio storico, ma senza far scorrere troppo sangue. Altro scenario: si lascia affamati, assetati, e si terrorizzano questi uomini fino alla lenta agonia. O nel peggiore dei casi: l’Azerbaijan, e in seguito la Turchia, si incaricano di scagliare droni, bombe al fosforo, munizioni a grappolo e altri nuovi aggeggi, come accaduto nel 2020 durante la guerra dei 44 giorni, su una popolazione civile oggi totalmente disarmata. E’ forse necessario ricordarsi i progetti panturchisti di Erdogan o di Aliyev? Ankara e Baku vogliono l’unione sacra turanista, a detrimento di qualsiasi minoranza dell’ex Impero ottomano (curdi, zaza, yezidi, assiri, caldei, pontici…).

(Traduzione di Mauro Zanon)

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