Un Foglio internazionale
L'altra guerra di Vladimir Putin
La critica al woke e alla cancel culture ha reso il leader russo un eroe della destra occidentale. Il conflitto in Ucraina sta rompendo questa alleanza
"Da tempo osservo le guerre culturali da una comoda distanza. A volte i temi sono interessanti. Ma gli argomenti pericolosi mi hanno dissuaso dall’entrare nella contesa”. Così inizia l’articolo di Gideon Rachman sul Financial Times: “Quindi sono rimasto nella mia tana geopolitica, evitando temi esplosivi come i bagni per i trans, scegliendo argomenti relativamente meno controversi come la Brexit o la guerra nucleare. Ora sono giunto alla conclusione che la mia nicchia geopolitica si sta mischiando alla guerra culturale. Guardate i discorsi di Vladimir Putin. Le giustificazioni offerte dal leader russo alla guerra in Ucraina non poggiano solamente sulla sicurezza o la storia. Putin presenta la guerra vera come un capitolo delle guerre culturali.
Nel suo discorso del 30 settembre, in cui celebra l’annessione di quattro regioni dell’Ucraina da parte della Russia, Putin ha accusato l’occidente di ‘spostarsi verso il satanismo’ e di ‘insegnare la deviazione sessuale ai bambini’. Ha sostenuto di ‘combattere per proteggere i nostri bambini e nipoti da quest’esperimento per cambiare le loro anime’.
Questi argomenti non sono mirati esclusivamente, forse nemmeno principalmente, al popolo russo. Putin sta flirtando con un importante bacino in occidente – i conservatori che sono talmente disgustati dalla presunta decadenza delle loro società da essere attratti dalla Russia di Putin. Alla vigilia della guerra in Ucraina, Steve Bannon, l’ex stratega di Donald Trump, ha detto sul suo podcast: ‘Putin non è woke. E’ anti woke’. Il suo intervistato, Erik Prince, ha risposto: ‘Il popolo russo sa ancora quale bagno utilizzare’.
Allo stesso tempo, Tucker Carlson, forse l’opinionista filo trumpiano più influente in America, ha esortato i suoi ascoltatori a chiedersi: ‘Putin mi ha mai chiamato razzista?… Sta cercando di estirpare la cristianità?’. La ‘guerra al woke’ è assolutamente centrale alla politica del Partito repubblicano. Su questi temi, molti repubblicani si sentono più vicini a Putin che ai democratici. Come mi ha detto di recente Jacob Heilbrunn, un analista astuto dell’America conservatrice, l’estrema destra del Gop vede Putin come un difensore dei valori cristiani tradizionali e un avversario dell’Lgbtq, un avversario del transgender e un avversario dell’indebolimento delle virtù mascoline alla base dell’affermazione dell’occidente.
Nel 2021, Ted Cruz ha ritwittato un video che contrapponeva uno spot russo per le reclute, pieno di soldati rasati e muscolosi con uno americano, rappresentante una soldatessa cresciuta con una coppia lesbica. Un senatore repubblicano ha sostenuto: ‘Forse un esercito woke ed effemminato non è la migliore idea’. La disastrosa performance militare russa in Ucraina offre una replica a Cruz: ‘Forse brutalizzare l’esercito, usando le truppe come carne da cannone non è la migliore idea’. Ma dato che non va più di moda lodare la Russia di Putin, la destra statunitense si è alleata ad altri leader autoritari stranieri nelle guerre culturali.
Lo scorso maggio, il premier ungherese Viktor Orbán ha ospitato la kermesse statunitense Conservative Political Action Conference, parlando di una lotta comune contro i ‘liberal progressisti, neo marxisti, intossicati dal sogno del wokeness, quelli a libro paga di George Soros… loro vogliono abolire il modo di vivere occidentale’. Orbán viene visto da molti come il leader europeo più vicino a Putin.
La sovrapposizione tra il nazionalismo e la crociata anti woke non è una coincidenza. Sono entrambi legati alla nostalgia per un passato mitizzato di grandezza nazionale e omogeneità culturale quando ‘gli uomini erano uomini’ e le donne e le minoranze stavano al loro posto. Non sorprende che i nazionalisti trumpiani in stile America first sentano un’affinità con i nazionalisti in Ungheria e Russia.
Ma se le linee di faglia nella guerra in Ucraina e nella guerra al woke si sovrappongono, non sono affatto identiche. Il governo polacco la pensa più o meno come Orbán sui temi Lgbt ma ha una linea diversa su Russia e Ucraina. Alcuni tentativi di Putin di rivolgersi ai suoi presunti alleati in occidente sono stati piuttosto maldestri. Una volta ha cercato di legare il destino della Russia a quello di J.K. Rowling, sostenendo che il suo paese, come l’autrice britannica, stesse per essere ‘cancellato’. Rowling ha fornito una risposta al vetriolo: ‘Sarebbe meglio se le critiche della cancel culture occidentale non venissero fatte da uno che sta macellando i civili’.
Israele è l’esempio interessante di un paese che trascende questa divisione, tendendo a sinistra sui temi da culture war e a destra sul nazionalismo. Gli israeliani sono stati accusati di utilizzare il loro progressismo sui temi Lgbt per mascherare le dure politiche contro i palestinesi. Questo approccio può essere riassunto come ‘ignorate Gaza, guardate alle nostre parate per il Gay Pride’. Ma l’attuale governo di coalizione, guidato da Benjamin Netanyahu, sta mettendo a repentaglio questo delicato equilibrio. Nell’esecutivo ci sono ministri di destra, che hanno suggerito che i medici dovrebbero potersi rifiutare di curare i pazienti gay. In passato Netanyahu è stato molto vicino a Orbán, Putin e Jair Bolsonaro, l’ex presidente del Brasile anti gay. Ma il premier israeliano sa di dover preservare un buon rapporto con la Casa Bianca, in cui comandano gli odiati liberal woke. Le guerre culturali sono diventate parte delle sfide geopolitiche di oggi. Ma le alleanze in questi conflitti si sovrappongono, e danno vita a strane amicizie”.
(Traduzione di Gregorio Sorgi)
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