Un foglio internazionale
Il verbo della “diversità” nelle università americane
In molti istituti per essere assunti contano sempre di più i piani dei candidati “per promuovere l’equità e l’inclusione”. Il racconto dell’Economist
"Le università americane assumono sulla base della devozione all’ideologia” è il titolo di un articolo del settimanale inglese Economist. Si legge: “L’Università della California, Berkeley, sta facendo pubblicità per un ‘direttore della coltura cellulare…’. I candidati hanno bisogno di una laurea avanzata e di un decennio di esperienza nella ricerca e devono presentare un cv, una lettera di accompagnamento e una dichiarazione di ricerca, nonché una sui loro contributi alla promozione della diversità, dell’equità e dell’inclusione. Apparentemente tutti devono presentare una dichiarazione che illustri la loro comprensione della diversità, i loro contributi passati ad essa e i loro piani ‘per promuovere l’equità e l’inclusione’ se assunti. Non molto tempo fa, tali affermazioni erano di importanza marginale. Ora sono di rigore nella maggior parte delle decisioni di assunzione. Studi affermano che almeno uno su cinque lavori di facoltà in tutta l’America li richiedono. E le agenzie governative che finanziano la ricerca scientifica stanno iniziando a concedere sovvenzioni ai laboratori in base ai loro piani di diversità. ‘Ci sono molte somiglianze tra queste affermazioni sulla diversità e come funzionavano i giuramenti di lealtà che una volta richiedevano ai docenti di attestare che non erano comunisti’, afferma Keith Whittington, politologo alla Princeton University. Berkeley ha lanciato un bando per cinque docenti per insegnare Scienze biologiche e su 894 domande ha creato una lista basata solo sulle dichiarazioni di diversità, eliminando 680 candidati senza esaminare le loro ricerche o altre credenziali. A partire da quest’anno, il dipartimento dell’Energia, che finanzia la ricerca sulla fisica nucleare e sul plasma, richiederà a tutte le domande di sovvenzione di presentare piani sulla ‘promozione della ricerca inclusiva ed equa’.
‘Le persone non sono disposte a respingere questo sistema perché hanno paura di perdere i fondi e nessuno vuole diventare un martire per difendere la ragione’, afferma Anna Krylov, professoressa di Chimica all’Università della California, che è nata e ha studiato nell’ex Unione Sovietica e vede dei parallelismi ‘un po’ troppo vicini’. Piuttosto che il marxismo-leninismo, ‘devi davvero impegnarti per la giustizia sociale critica’. L’Harvard Law Review incoraggia i potenziali redattori a presentare, insieme alla loro domanda, una dichiarazione di 200 parole ‘per identificare e descrivere aspetti della tua identità’”.
In un saggio sul Journal of Physical Chemistry Letters, Anna Krylov (una delle principali ricercatrici di quantistica molecolare), scrive: “Sono cresciuta in una città che nella sua breve storia (poco più di 150 anni) ha cambiato nome tre volte. Fondata nel 1869 intorno alle miniere di carbone costruite dall’industriale gallese John Hughes, l’insediamento era chiamato Yuzovka. Quando i bolscevichi salirono al potere nella rivoluzione del 1917, il nuovo governo della classe operaia, i soviet, si mise a epurare il paese dalle influenze ideologicamente impure in nome del proletariato e della lotta mondiale delle masse oppresse. Città e punti di riferimento geografici furono rinominati, statue furono abbattute, libri furono bruciati e molti milioni di persone furono imprigionate e assassinate. A tempo debito, i commissari arrivarono a Yuzovka e la città fu privata del nome del suo fondatore, un rappresentante degli oppressori e un occidentale. In termini moderni, si può dire che Hughes fu cancellato. Per alcuni mesi, la città fu chiamata Trotsk (da Leon Trotsky), finché Trotsky perse nella lotta per il potere e fu lui stesso cancellato. La città fu rinominata Stalino. Dopo la morte di Stalin nel 1953, Stalino divenne Donetsk, dal fiume Severskii Donets. La storia sovietica è stata costantemente rivista per stare al passo con la linea del partito. Sono diventata maggiorenne durante un periodo relativamente mite del governo sovietico, dopo Stalin. Eppure, l’ideologia permeava tutti gli aspetti della vita e la sopravvivenza richiedeva una stretta aderenza alla linea del partito ed entusiastiche dimostrazioni di comportamento ideologicamente corretto. Non aderire a una organizzazione comunista (Komsomol) sarebbe stato un suicidio di carriera. Praticare apertamente la religione poteva portare a conseguenze più gravi, fino al carcere. Così come leggere il libro sbagliato (Orwell, Solgenitsin, ecc.). Anche un libro di poesia che non era nella lista approvata dallo stato poteva metterti nei guai”.
Krylov stabilisce così un paragone fra la cappa ideologica che ha vissuto in Unione Sovietica e l’attuale politicizzazione della vita scientifica e culturale in occidente. “La Guerra fredda è un ricordo lontano e il paese indicato sul mio certificato di nascita e sui miei diplomi scolastici e universitari, l’Urss, non è più sulla mappa. Ma mi ritrovo a vivere la sua eredità a migliaia di chilometri di distanza, in occidente, come se vivessi in una zona d’ombra orwelliana. Sono testimone di tentativi sempre maggiori di sottoporre la scienza e l’educazione al controllo ideologico e alla censura. Proprio come ai tempi dell’Unione Sovietica, la censura è giustificata dal bene superiore. Mentre nel 1950, il bene superiore era la Rivoluzione Mondiale, oggi il bene superiore è la ‘Giustizia Sociale’. Ci viene detto che dobbiamo riscrivere i nostri programmi e cambiare il modo in cui insegniamo e parliamo”.
Krylov vede all’opera una “caccia ai fantasmi in stile sovietico”. “Nuove parole vengono cancellate ogni giorno e ho appena saputo che la parola ‘normale’ non sarà più usata sulle confezioni di sapone Dove perché ‘fa sentire la maggior parte delle persone escluse’. È in gioco il nostro futuro. Come comunità, siamo di fronte a una scelta importante. Possiamo soccombere all’ideologia dell’estrema sinistra e passare il resto delle nostre vite a caccia di fantasmi e streghe, riscrivendo la storia, politicizzando la scienza, ridefinendo il linguaggio e trasformando l’istruzione in una farsa. Oppure possiamo sostenere un principio chiave della società democratica – il libero e incensurato scambio delle idee – e continuare la nostra missione principale, la ricerca della verità, concentrando l’attenzione sulla risoluzione di problemi reali e importanti dell’umanità”.
Traduzione di Giulio Meotti