Un Foglio internazionale
Come ha fatto con Putin, con Erdogan l'occidente volge lo sguardo altrove
Violazione delle libertà, aperte minacce espansionistiche, odio dei curdi e degli armeni… Fino a che punto lasceremo agire il presidente turco?, si chiede il Point
"La terra ha tremato e un intero paese, la Turchia, sanguina, piange, rimbomba. Avremmo voluto raccontarvi quanto successo da vicino” scrive Étienne Gernelle, direttore del settimanale francese Le Point, “ma il governo di Ankara non ce lo ha permesso: il nostro reporter Guillaume Perrier è stato arrestato la scorsa settimana all’aeroporto di Istanbul per fumose ragioni di ‘sicurezza nazionale’. E’ stato espulso il giorno dopo. Non abbiamo avuto maggiori informazioni sul motivo di questa misura, ma a dirla tutta non ci sorprendiamo più di ciò che fa questo regime. Nel 2018, una copertina del Point intitolata ‘Le dictateur: jusqu’où ira Erdogan?’ era valsa al nostro giornale un attacco diretto da parte del capo dello stato turco in occasione di un meeting elettorale. In Francia, i suoi sostenitori si erano scatenati, minacciando gli edicolanti, costringendoli in alcuni casi a ritirare la pubblicità della copertina dalla loro edicola, e in altri casi strappandola. Altri due giornalisti del Point sono stati in seguito oggetto di una denuncia depositata ad Ankara dall’avvocato di Recep Tayyip Erdogan per ‘offesa al presidente’. Un reato passibile laggiù di quattro anni di prigione.
Questi fatti ci ricordano il nostro privilegio: vivere in uno stato di diritto! I giornalisti turchi non hanno la stessa fortuna: ventiquattro di loro, secondo i dati di Reporters sans frontières, si trovano oggi dietro le sbarre, e nove sono in custodia cautelare. Circa duecento giornalisti sono stati processati con l’accusa di ‘offesa’ al capo dello stato e settantatré di loro sono stati condannati dal 2014 a oggi. Erdogan si pulisce i piedi sulla libertà d’espressione, ma non è l’unico zerbino. In Turchia, la giustizia e la polizia sono state messe con le spalle al muro. I curdi, naturalmente, pagano un prezzo elevato. Ma il suo paese non gli basta: minacce armate contro le isole greche del Dodecaneso, bombardamenti – in attesa di una nuova invasione? – ai danni dei curdi in Siria, anche se ciò favorisce il ritorno dello stato islamico, senza dimenticare, ovviamente, l’epurazione etnica praticata sotto il suo sguardo benevolo nei confronti degli stessi curdi ad Afrin, nel 2018, da parte dei miliziani (tra questi c’erano anche individui fuoriusciti da gruppi jihadisti come al Nusra). Anche l’altra ossessione di Erdogan, gli armeni, trova un prolungamento armato nel sostegno attivo all’Azerbaijan, che si incarica del lavoro sporco.
L’odio di Erdogan, più che una passione, è una priorità: invece di far rispettare le norme antisismiche, il presidente ha preferito consacrare la sua energia ai suoi sogni espansionistici. E le sue ambizioni sono grandi. Oltre al lavoro ideologico – il patrocinio dei Fratelli musulmani –, i suoi servizi segreti e i suoi Lupi grigi non si fanno problemi a intervenire in Europa. In Francia, ci ricordiamo tutti dell’assassinio di tre militanti curdi a Parigi, nel 2013. Dei sospetti (per ora non confermati dall’inchiesta) sono stati emessi anche in merito alla strage di rue d’Enghien, sempre a Parigi, del 23 dicembre 2022, dove le vittime sono state nuovamente dei militanti curdi. Nel 2020, un pentito ha rivelato alla polizia austriaca l’esistenza di un piano il cui obiettivo era quello di assassinare un politico di origini curde. Fino a dove si spingerà Erdogan? La vera questione: perché dovrebbe fermarsi? Dostoevskij scriveva che la tirannia è un’abitudine, spiegando che ‘quelli che possiedono questa potenza illimitata sulla carne, sul sangue e sull’anima dei loro simili (…) sono incapaci di resistere ai loro desideri’.
L’invasione, un anno fa, dell’Ucraina da parte della Russia ha logicamente generato una riflessione in occidente: cosa non abbiamo fatto? Avremmo dovuto reagire prima? Ci ricordiamo tutti della frase di John McCain nel 2014: ‘Niente istiga Putin più della debolezza’. Per quanto riguarda Erdogan, per ragioni diverse – tema dei rifugiati, ruolo della Nato, paura di vedere la Turchia scivolare apertamente verso un altro campo – l’occidente sceglie per ora di volgere lo sguardo dall’altra parte. Ma attenzione al risveglio.
E’ da quasi ventidue mesi che Olivier Dubois, giornalista di Libération, Le Point e Jeune Afrique, è stato sequestrato in Mali dal Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim), legato ad al Qaeda (di origini martinichesi, Dubois è stato sequestrato dagli islamisti mentre realizzava un reportage a Gao, nel nord del Mali, ndr). ‘La vita di Olivier sta scorrendo lontano dai suoi cari’, hanno recentemente dichiarato al Point sua sorella, Canèle Berard, e suo cognato, Benjamin Fouqoire. I nostri pensieri vanno a lui e speriamo che venga fatto tutto il possibile per ottenere la sua liberazione”.
Traduzione di Mauro Zanon
Il Foglio internazionale