Un foglio internazionale
“La mutazione del conflitto in una guerra globale è un rischio reale”
Per Michel Duclos, consigliere presso l’Institut Montaigne, il sistema di sicurezza allestito nel 1945 è ormai a brandelli. E Kyiv deve avere i mezzi per costringere Putin al negoziato, scrive il Monde (10/3)
"A distanza di un anno dall’aggressione russa, la mutazione di una guerra confinata all’Europa in un conflitto più globale è un rischio sempre più reale” scrive Michel Duclos, consigliere presso l’Institut Montaigne, think tank liberale. “Non si può dunque escludere che la Cina, la quale vuole evitare una sconfitta al suo alleato, possa rivedere la sua autolimitazione in materia di sostegno militare alla Russia”. Il segretario di stato americano, Antony Blinken – continua Duclos – ha già denunciato i piani di Pechino in questo senso. Se la Cina decidesse di consegnare delle “armi letali” a Mosca, il volto dei combattimenti in Ucraina potrebbe cambiare, ma soprattutto ci sarebbero delle sanzioni americane contro Pechino, che inasprirebbero le tensioni, già forti, tra i due paesi.
Un altro scenario potrebbe essere l’apertura di un “secondo fronte”, provocato o quantomeno aizzato da Mosca. Il pensiero va all’Iran, in particolare, dove si stanno riunendo tutte le condizioni – accesso della Repubblica islamica all’arma nucleare, assenza di cooperazione tra le grandi potenze, opzione per Mosca di fornire degli aerei da combattimento a Teheran – per l’esplosione di un conflitto di grande entità nel vicino oriente. Per gli occidentali, il dilemma assomiglia a quello che descriveva Raymond Aron nel 1951: “Vincere la guerra limitata per non dover combattere una guerra totale”. I nostri dirigenti devono riflettere su questo punto in maniera tanto più giudiziosa poiché si profila, con ogni probabilità, una nuova èra di scontri est-ovest, sotto lo sguardo un po’ beffardo di un sud globale, all’interno del quale emergono nuove potenze disinibite (India, Turchia, Arabia Saudita, Iran), che ormai possono modificare i rapporti di forza e penseranno soltanto ai loro interessi.
Il motore di questa nuova èra sarà fornito da un revanscismo russo alleato alla volontà di affermazione della Cina – due hybris coalizzate. Abbiamo già menzionato una possibile crisi attorno all’Iran, ma un’altra grave crisi attorno a Taiwan potrebbe essere solo questione di tempo. I grandi attori occidentali (e i loro alleati in Asia) dovranno affrontare queste sfide avendo in testa due circostanze aggravanti. In primo luogo, il rischio nucleare torna ad avere un’importanza cruciale, anzitutto sotto forma di proliferazione – l’Iran, ovviamente, oltre che l’intensificazione del programma nordcoreano, e, di conseguenza, la revisione delle loro opzioni da da parte dei vicini dell’Iran e dalla Corea del Sud –, in seguito a causa della nuova strumentalizzazione della minaccia di ricorso all’arma atomica da parte di Vladimir Putin, che mette fine a una lettura puramente dissuasiva delle capacità nucleari.
In secondo luogo, ciò poteva restare del sistema di sicurezza collettivo allestito nel 1945 appare ormai in brandelli: il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è entrato in coma profondo a causa dell’ostruzionismo russo; il cemento rappresentato dall’adesione ai princìpi di base della Carta delle Nazioni Unite – il non-ricorso alla forza, il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale – è minato dallo scetticismo: è ciò che rivela la reticenza degli stati del sud – fatto salvo per la condanna dell’aggressione russa – ad aderire alla politica di isolamento della Russia.
Come comportarsi, dunque? La linea d’azione più immediata riguarda il teatro ucraino. Era opportuno che i dirigenti occidentali ripetessero, in occasione dell’anniversario dell’aggressione russa, che i loro paesi sono determinati a sostenere l’Ucraina fino a quando sarà necessario. La realtà, tuttavia, è che bisogna tentare di mettere fine alla guerra il prima possibile. Non con delle negoziazioni affrettate, che consacrerebbero le conquiste territoriali russe, ma dando alle forze ucraine i mezzi militari necessari (armi pesanti, sistema di difesa a lunga gittata) per perforare il fronte russo e minacciare seriamente le posizioni russe in Crimea. Putin si presterà a delle negoziazioni solo quando sentirà che può perdere la Crimea, anche se ciò passa da nuove minacce, da parte sua, su un ricorso alle armi nucleari.
Una seconda linea d’azione dovrebbe essere per l’ovest quella di ripristinare una relazione di fiducia con il sud globale. Il presidente Macron ha ragione a prendere delle iniziative per una migliore cogestione dei “beni comuni globali” (clima, biodiversità, sviluppo, sanità, etc). Se si vogliono ripristinare almeno alcune basi della sicurezza collettiva, bisognerà anche rispondere al bisogno di partnership politico e di riconoscimento di uno status dei paesi del sud. In tal senso, i membri permanenti occidentali del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e forse l’Unione europea, dovrebbero riflettere su nuove iniziative di allargamento del Consiglio, su una sua riforma e/o su un inquadramento del diritto di veto. L’immediato post-guerra in Ucraina dovrebbe offrire una finestra di opportunità per mettere in pratica tali proposte. Infine, terza linea d’azione, c’è l’Europa. E’ vitale per essa, dinanzi al pericolo di una nuova èra di scontri est-ovest, che si riarmi, al fine di evitare il vassallaggio a un campo o all’altro. Ma ci sarà un’Europa forte solo se ritroverà un’unità di visione, in profondità, sul suo destino; ciò significa, tra le altre cose, identificare chiaramente la stessa minaccia, che non può essere soltanto quella dell’egemonia russa.
(Traduzione di Mauro Zanon)
Il Foglio internazionale