un foglio internazionale
Il conformismo è letale, dice l'Economist
Il settimanale britannico contro la cancel culture di libri, autori e parole scomode. “Orwell aveva capito che la nuova censura sarebbe stata volontaria”
"Qualcosa sembra cambiare nell’editoria” scrive l’Economist. “Puoi vederlo dai libri quasi messi a tacere. ‘Time to Think’, un libro di Hannah Barnes sulla clinica per l’identità di genere Tavistock a Londra, che rivela di bambini di appena nove anni avviati ai bloccanti della pubertà, è stato rifiutato da 22 editori. Come afferma un dirigente editoriale, c’è la sensazione che le cose ‘siano andate troppo oltre’. Le modifiche di Roald Dahl da parte della casa editrice Puffin, che fa parte di Penguin, è un sintomo di qualcosa andato alla deriva nel mondo dell’editoria, ma è tutt’altro che l’unico. Gli autori sono stati eliminati; i libri sono stati sepolti; le persone hanno perso il lavoro; lettori sensibili sono stati impiegati per garantire il rispetto della morale moderna. James Bond è stato modificato per renderlo meno vile, l’equivalente letterario del tentativo di rendere l’acqua meno bagnata.
In un paese come la Gran Bretagna, la parola è ancora libera. Meglio di gran lunga rivolgersi a un’introduzione che Orwell ha scritto per ‘La fattoria degli animali’. Orwell aveva terminato la sua satira sull’Unione Sovietica – che molti considerano il suo capolavoro – nel 1943, dopodiché fu prontamente respinta da quattro editori. Come per i 22 rifiuti della signora Barnes, alcuni hanno offerto delle ragioni. Avere dei maiali come classe dirigente potrebbe ‘offendere… soprattutto chi è un po’ permaloso, come indubbiamente sono i russi’. In seguito Orwell rifletté su tutto questo in quella introduzione. C’è, scrisse, una ‘censura velata’ nell’editoria. ‘In ogni dato momento c’è un’ortodossia, un corpo di idee che si presume che tutte le persone benpensanti accetteranno senza dubbio’. Un libro sul colonialismo di Nigel Biggar, professore emerito all’Università di Oxford, è stato accolto dal suo editore, Bloomsbury, come un’opera di ‘maggiore importanza’ e poi rimandato, apparentemente a tempo indeterminato. Ora è uscito sotto un altro editore.
Quando la storica Anne Applebaum ha studiato la sovietizzazione dell’Europa centrale, ha scoperto che il conformismo politico era ‘il risultato non della violenza o della coercizione statale diretta, ma piuttosto di un’intensa pressione dei pari’. L’editoria sembra particolarmente suscettibile a tale pressione. Tutto ciò non comporta nessuna legge, nessuna polizia, nemmeno minacce evidenti. Le persone educate scrivono email educate e i libri vengono seppelliti educatamente. ‘Il fatto sinistro della censura letteraria in Inghilterra’, scrisse Orwell, ‘è che è in gran parte volontaria’. Andare contro quel ‘sentimento pubblico’ minacciosamente amorfo è profondamente scomodo. Il problema con tutto questo nervosismo, questo desiderio di essere belli, è che ha risultati molto sgradevoli. In ‘Fahrenheit 451’, il romanzo di Ray Bradbury, una società ha iniziato a bruciare tutti i libri per non causare offesa. Come spiega un personaggio: ‘Non pestare i piedi a… cinesi, svedesi, italiani, tedeschi, texani, brooklynesi, irlandesi di seconda generazione…’.
Questo rogo di libri non è stato ordinato dal governo. ‘Non c’era nessuna dichiarazione, nessuna censura per cominciare, no! La tecnologia… e la pressione delle minoranze hanno fatto tutto’. Ora i libri sono tutti spariti. Ora ‘grazie a loro puoi essere sempre felice’. Penguin, per inciso, offre un audiolibro di ‘Fahrenheit 451’. Forse i suoi dirigenti potrebbero essere incoraggiati ad ascoltarlo prima di tirare fuori le loro penne rosse. Meglio essere sicuri che possiamo essere tutti felici”.
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