Un foglio internazionale
Perché la guerra in Ucraina è manna dal cielo per il regime iraniano
La guerra ha distolto gli sguardi occidentali da Teheran, permettendo al regime iraniano di accelerare lo sviluppo del suo programma nucleare. L'articolo del Figaro
Ogni lunedì, nel Foglio c'è Un Foglio Internazionale, l'inserto con le segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere, a cura di Giulio Meotti
L’invasione russa dell’Ucraina non ha fatto altro che amplificare la complessità delle relazioni tra il medio oriente e le potenze straniere” spiega il fondatore e direttore dell’Observatoire des pays arabes, Antoine Basbous, politologo franco-libanese (tra le sue opere, “Le tsnuami arabe” da Fayard). “Due fattori dominanti hanno segnato la sequenza bellica: la perdita da parte di Vladimir Putin, tra gli arabi, dell’immagine di “zaim”, stratega freddo, invincibile, che inanella successi e va in soccorso dei suoi protetti, come Bashar al-Assad nel 2015; e, in parallelo, un ulteriore avvicinamento tra l’Iran e la Russia, uniti dal loro statuto di “pària” dinanzi all’occidente e associati nell’aggiramento delle sanzioni.
Questo avvicinamento non è tuttavia una subordinazione, come sottolinea la recente firma a Pechino di un accordo a tre con l’Arabia saudita, avversario storico di Teheran. Più della Russia, l’Iran trae vantaggio dalla ricomposizione strategica in corso in medio oriente. Impantanandosi in Ucraina, il Cremlino ha perso la sua aura in un mondo arabo fino a quel momento entusiasta di trovare in lui un’alternativa a degli americani percepiti come poco affidabili. Certo, la Russia resta un partner nel quadro dell’Opep+ per mantenere un prezzo alto del petrolio, e gli Emirati arabi uniti hanno offerto un rifugio confortevole agli oligarchi russi, ma il paese di Putin ha mostrato di essere una tigre di carta. Il suo armamento così come la sua dottrina militare sono stati talmente difettosi che Mosca ha dovuto ricorrere alla sua milizia Wagner per proseguire le operazioni. Questo flagrante fallimento ha calmato le “mosche elettroniche” di diversi regimi arabi che davano il tono sui social network. L’immagine dell’occidente, automaticamente, ha recuperato un po’ del suo valore. Peggio, per i paesi del Golfo, la Russia è stata costretta a sollecitare il sostegno dell’Iran, il loro principale avversario.
Teheran ha ceduto a Mosca droni e missili in cambio di soldi, aerei da combattimento e soprattutto un sostegno internazionale. Il veto russo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite sarà prezioso per proteggere un regime minacciato dall’interno. Prendendo atto del ritiro degli americani, alcune monarchie del Golfo hanno optato per una revisione della loro gestione del dossier iraniano. Satellite arabo dell’Iran, la Siria approfitta a pieno di questa revisione. Il terremoto che ha colpito il Levante ha in oltre dato l’opportunità a diversi stati arabi di riprendere i colloqui con Assad, in nome dell’emergenza umanitaria. Così facendo, questi ultimi rompono frontalmente allo stesso tempo con Washington e gli europei, che sanzionano severamente il regime di Damasco. L’accordo di Pechino potrebbe anche avere delle ricadute sul resto della “mezzaluna sciita”, dal Libano in decomposizione avanzata all’Iraq in piena esitazione nella sua relazione con gli Stati Uniti.
Questa “grande inversione” dei diplomatici del Golfo è la prova che l’intimidazione iraniana dei suoi vicini ha funzionato pienamente. Ma il principale frutto della guerra in Ucraina per Teheran è stato distogliere gli sguardi occidentali dalla sua fuga in avanti sul nucleare. Dinanzi a una gioventù che, stremata dal fardello ideologico che la rivoluzione islamica fa pesare sul suo presente e sul suo futuro, cerca di rovesciarlo, il regime vuole battere sul tempo la contestazione e dotarsi della bomba per una santuarizzazione sul modello della Corea del Nord. L’arricchimento dell’uranio si è dunque accelerato, a più dell’83 per cento, fatto che lo avvicina all’obiettivo militare. L’Iran sta sviluppando a grande velocità anche il suo programma balistico, così come il suo programma di droni, che hanno fatto i loro test nel Golfo e in Ucraina. Nella sua corsa contro il proprio popolo, il regime appare in vantaggio. Istruito dal precedente iracheno, Teheran ha messo al riparo il suo programma nucleare, sotterrato e sparso su diversi siti. Una campagna di distruzione massiva delle installazioni potrà dunque avere successo solo con l’aiuto, e i mezzi, dell’esercito americano. Ma Washington ha altre priorità: contenere la Cina e sostenere l’Ucraina dinanzi all’aggressione russa (…). Arrivato alla soglia della santuarizzazione nucleare, delegittimato dalla contestazione e minacciato dal crack economico – in sei mesi, il dollaro è passato da 300mila riyal a 600 mila riyal –, il regime iraniano ha saputo sventare le minacce esterne riallacciando i rapporti con l’Arabia saudita e coinvolgendo la Cina, per la quale il Golfo è il primo fornitore di idrocarburi. Poiché la pista di un intervento militare straniero per interrompere la marcia dell’Iran verso la bomba è poco probabile anche perché troppo costosa e andrebbe incontro a un blocco internazionale, rimane solo un regime consumato e delegittimato, ma che sa manovrare per assicurare la propria sopravvivenza.
(Traduzione di Mauro Zanon)
Il Foglio internazionale