Un Foglio internazionale
Le nuove discriminazioni
Quando la virtù vale più delle reali capacità, si ricrea un ordine sociale a carattere elitario. Il caso del linguaggio inclusivo in Goldman Sachs
L’ex direttore del Wall Street Journal, Gerard Baker, prende di petto il “suicidio dell’Occidente”: “Qualche anno fa, l’allora capo di Goldman Sachs mi spiegò il motivo per cui riteneva che l’azienda avesse raggiunto una posizione così predominante nel settore globale dell’investment banking nel corso degli ultimi 50 anni. All’inizio, il settore bancario era ancora dominato da nobili dal sangue blu, soprattutto a Londra, dove ho iniziato la mia carriera. La capitale inglese era un luogo in cui, in un mercato ancora fortemente regolamentato, un posto in una delle grandi istituzioni era un ambito biglietto per una vita ricca. Tuttavia, i biglietti erano disponibili per gli uomini con il giusto background. Le regole per identificare e selezionare questi uomini erano vaghe. Non c’erano divieti formali di ammissione al cerchio magico per chi proveniva da un particolare status socioeconomico. Sarebbe stato grossolano e, perfino allora, illegale. Invece, un complesso sistema di semiotica si occupava di togliere di mezzo la plebaglia. Una pronuncia vocale appiattita, una parola volgare per gabinetto, il tipo di scarpe sbagliato, e si veniva esclusi senza nemmeno capire il perché. In Gran Bretagna, i supervisori del sistema avevano un acronimo con cui venivano designati gli intoccabili, ossia Nqocd (Not quite our class, dear), ‘non proprio della nostra classe, caro’. Goldman Sachs è arrivata e ha tagliato questa selva asinina di privilegi autoperpetuante, assumendo semplicemente le persone migliori per il lavoro, indipendentemente dalla lingua e dall’aspetto. Finché si era intelligenti, motivati, spietati, impegnati a fare soldi e a sbaragliare la concorrenza, si era dentro. Funzionava. Mi è tornato in mente quando, la settimana scorsa, ho letto che i dirigenti di Goldman Sachs hanno recentemente incoraggiato i propri dipendenti ad adottare una gamma completa di pronomi quando si identificano nelle comunicazioni, compresi i neologismi come ‘ze’, ‘zir’, e ‘zemself’. E’ una cosa piccola. Un altro piccolo passo indietro nella lunga e costante discesa di Goldman Sachs che, a quanto mi dicono, assume ancora un buon numero di persone di vero talento.
Potremmo liquidarlo come un altro pezzo di ridicola messaggistica di pubbliche relazioni progettata per tenere a bada le truppe d’assalto dei social media. Tuttavia, io preferisco la storia che ho sentito di recente di un ufficiale dell’esercito britannico. Trovandosi distaccato in un dipartimento governativo adeguatamente moderno, di fronte a un’istruzione simile di identificare i propri pronomi, ha prontamente diffuso una nota ai colleghi che i suoi pronomi preferiti erano ‘colonnello’ e ‘signore’.
Nel suo piccolo, il memo di Goldman cattura in modo pittoresco la crescente confusione che i precetti dell’ortodossia ideologica contemporanea stanno facendo della nostra società, della nostra economia e della nostra democrazia. Evidenzia come i reali progressi compiuti nel corso dei decenni verso una società più giusta ed equa vengano gettati via sotto l’autorità di una nuova serie di regole e di governanti altrettanto elitari e privilegiati di quelli vecchi. Per gli aristocratici dell’antico regime era avere le scarpe giuste o l’accento appropriato. Per quelli di oggi, l’adesione alle regole sempre diverse del pensiero e del linguaggio ideologicamente approvato. E’ stato grazie alla meritocrazia radicale e al dinamismo audace di istituzioni come la Goldman che siamo stati in grado di smantellare gran parte dell’autorità delle strutture di potere elitarie che ci impedivano di realizzare il nostro potenziale. Gli ultimi 50 anni sono stati segnati dall’autentico sradicamento delle barriere alle opportunità per i meno abbienti, indipendentemente da etnia, sesso, orientamento sessuale o altro. E’ così che abbiamo iniziato a mantenere la promessa di uguaglianza. Tuttavia, la rivoluzione culturale iniziata nell’ultimo decennio sta ripristinando quelle barriere e creando nuove strutture di potere elitario, elevate non dal talento o dal duro lavoro, ma, curiosamente, dall’appartenenza alla classe auto-approvata, segnalata dalle giuste credenze di lusso e articolata dal giusto linguaggio ‘inclusivo’.
Adrian Wooldridge, autore di un libro sull’ascesa della meritocrazia, inquadra la situazione in un recente articolo dello Spectator. La sinistra, dice, sta ‘creando un nuovo ordine sociale basato sulla virtù, piuttosto che sulla capacità’. Se analizziamo la competizione tra le civiltà globali nel mondo multipolare in cui viviamo, vediamo che l’Occidente è messo alla prova come non lo era da secoli. E’ assiomatico che una Cina in ascesa e forse altre potenze si presentino come formidabili contendenti per la leadership globale, con implicazioni per la nostra sicurezza e prosperità. Tuttavia, se stiamo perdendo questa battaglia, non è per la superiorità dei sistemi autoritari, comunisti o autocratici. Sappiamo che il capitalismo liberale ha fatto di più per la prosperità, la salute e la libertà umana di qualsiasi altro sistema economico o politico. Se stiamo perdendo, è perché stiamo perdendo la nostra anima, il nostro senso dello scopo come società, la nostra identità come civiltà. Noi occidentali siamo in preda a un’ideologia che disconosce il nostro genio, denuncia il nostro successo, disprezza il merito, esalta il vittimismo, abbraccia il disprezzo per sé stessi della società e fa rispettare tutto questo in una rete di regole escludenti e autoritarie, grandi e piccole”.
Il Foglio internazionale