un foglio internazionale
“La crisi in Sudan segna la fine della leadership americana nella regione”
Secondo Gilles Képel, il conflitto mette in dubbio la capacità degli Stati Uniti di garantire la sicurezza dei suoi alleati in medio oriente. L'articolo del Figaro
La guerriglia sudanese che vede scontrarsi due fazioni militari dallo scorso 14 aprile, e si è trasformata in un disastro umanitario fin dalla prima settimana di combattimenti, testimonia il disordine che si sta diffondendo in medio oriente sulla scia del conflitto ucraino, così come il crescente indebolimento della leadership americana” scrive Gilles Képel, specialista del mondo arabo e direttore della cattedra Moyen-Orient Méditerranée all’École normale supérieure.
“Il Sudan aveva galvanizzato le speranze delle democrazie di tutto il mondo quando il suo popolo, nell’aprile del 2019, ha fatto cadere il dittatore Omar al-Bashir dopo un quarto di secolo di potere, durante il quale è stato incriminato dalla Corte internazionale di giustizia per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Ma questa speranza è stata spazzata via, alla pari di tutte quelle della “seconda primavera araba” del 2019 in Algeria, in Libano e in Iraq, quando un colpo di stato militare condotto da due generali – all’epoca alleati – che oggi si scontrano, Abdel Fattah al-Burhan e Mohammed Hamdan Dagalo detto Hemetti, ha rovesciato il governo civile nell’ottobre 2021. Nel frattempo, il Sudan aveva firmato nel gennaio 2021 gli “Accordi di Abramo”, un tema centrale per lo stato ebraico, perché Khartum era lo snodo delle armi iraniane che arrivavano in contrabbando dalle coste sudanesi fino a Hamas a bordo di sambuchi attraverso il mar Rosso. Appena tre mesi fa, il 2 febbraio, il ministro degli Esteri israeliano, Élie Cohen, effettuava la sua prima visita ufficiale a Karthum nella sua nuova veste, con l’obiettivo di preparare la firma di un trattato di pace che finalizzasse la normalizzazione completa tra i due stati. Si è fatto fotografare sorridente e stringendo la mano al generale al-Burhan, mentre il generale Hemetti dichiarava all’agenzia di stampa ufficiale Suna di non essere stato messo al corrente della visita e di non aver incontrato la delegazione (ha mandato tuttavia il fratello in Israele per alcuni colloqui). L’immenso paese africano, uno dei più poveri del mondo, e con un lungo contenzioso con gli Stati Uniti che risale al sequestro e in seguito all’uccisione a Karthum lo scorso marzo del loro ambasciatore Cleo A. Noel Jr da parte di alcuni palestinesi membri di Settembre nero, sembrava aver voltato pagina e fatto il suo ingresso nel sistema di alleanze americano in medio oriente. Ma Sergej Lavrov ha effettuato una visita a Khartum lo scorso 9 marzo, una settimana dopo il suo omologo israeliano, finalizzando un accordo di installazione di una base logistica per la flotta russa a Porto Sudan e incontrando i due generali al-Burhan e Hemetti. Sono girate voci sul fatto che stessero arrivando delle armi russe e che l’onnipresente Gruppo Wagner, punta di diamante del lavoro sporco del Cremlino nel continente africano, dove ha già preparato il regime change in Mali, fosse molto attivo nelle miniere d’oro. Queste ultime sono state conquistate dal generale Hemetti – considerato per questo l’uomo più ricco del Sudan – quando dirigeva le milizie “Janjawid”, che seminarono il terrore a forza di massacri nella provincia del Darfour all’epoca del dittatore al-Bashir. Il patron di Wagner, Yvgeny Prigozhin, è una delle sue vecchie conoscenze. L’entità degli scontri tra i due generali rivali, che massacrano i civili come carne da cannone, è una pessima notizia per gli Stati Uniti: ciò mostra che Washington non ha praticamente nessuna influenza in Sudan, nonostante quest’ultimo abbia firmato gli Accordi di Abramo, e mette in debbio le sue capacità di garantire la sicurezza dei suoi alleati presenti e eventuali in medio oriente e in Africa del Nord.
Ciò è ancor più preoccupante dopo la firma dell’accordo di mediazione cinese tra l’Arabia saudita e l’Iran, e il rifiuto saudita al presidente Biden quando quest’ultimo ha chiesto di aumentare la produzione di petrolio per contrastare Mosca. Il 21 aprile, alcuni aerei da caccia Mig-29M2 egiziani, preposizionati nella base aerea di Meroe (a centocinquanta chilometri da Karthum) come dissuasione anti etiopica, sono stati sequestrati, danneggiati, e i loro equipaggio e personale sono stati catturati dalle Rsf (Forze di sostegno rapido) del generale Hemetti. Queste ultime temevano forse che si unissero all’aviazione del generale al-Burhan, molto vicino al presidente al-Sisi, aviazione che controlla i cieli e bombarda senza sosta le Rsf. I poco più di duecento militari sono stati liberati e rispediti in Egitto non senza essere stati malmenati dalla Forze di supporto rapido, che hanno messo online un video dell’incidente.
Questa umiliazione dell’esercito egiziano capita nel momento peggiore dato che esso si trova già in discussione in seguito ai “Pentagon leaks”, i quali hanno rivelato che si preparava in segreto per consegnare decine di migliaia di razzi all’esercito russo violando l’embargo americano – nonostante Il Cairo riceva 1,3 miliardi di dollari di sostegno militare ogni anno da Washington. Antonio Guttieres, segretario generale dell’Onu, ha avvertito lo scorso 20 aprile che il protrarsi dei combattimenti Sudan “è una minaccia per tutta la regione e non solo”.
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