Un Foglio internazionale
Le due Turchie, laica e islamica, divise da una linea di faglia elettorale
Gilles Kepel spiega il risultato di Recep Tayyp Erdogan alle elezioni presidenziali. L'articolo del Figaro
Sorprendendo la maggior parte degli istituti sondaggistici e dei mercati, il presidente turco uscente, Recep Tayyip Erdogan, è arrivato in testa in occasione del primo turno dello scrutinio nazionale del 14 maggio, con quasi cinque punti di vantaggio sul suo principale rivale, Kemal Kiliçdaroglu, mentre i partiti della sua coalizione hanno ottenuto 322 dei 600 seggi del Parlamento” scrive Gilles Kepel, direttore della cattedra di Medio oriente Mediterraneo presso l’École normale superieure di Parigi. “Il dado sembra tratto per il secondo turno del 28 maggio, come hanno anticipato la Borsa di Istanbul e la lira turca, sfiduciati dalla continuazione delle politiche “erdoganomics”.
Queste politiche hanno garantito i voti del cuore anatolico del presidente, ma rischiano di tradursi in un aggravamento della crisi finanziaria della Turchia. La mappa dei risultati di ogni dipartimento mostrano la linea di faglia che separa due, o piuttosto tre gruppi – che hanno mobilitato in massa gli elettori, con una partecipazione dell’89 per cento, percentuale raramente raggiunta nelle democrazie occidentali. La coalizione tra ultranazionalisti e islamisti conservatori (detta “sintesi turco-islamica”) ha avuto nettamente la meglio nell’Anatolia centrale, profondamente sunnita, compresa Maras, epicentro del terremoto di febbraio, il cui bilancio è stato devastante a causa dei promotori immobiliari che hanno corrotto gli imprenditori edili per poter costruire senza tenere conto delle norme anti sismiche: il presidente uscente ha ottenuto in quelle terre il 72 per cento dei suffragi. Di fronte, sia le regioni costiere dell’ovest e del sud, più ricche e sviluppate, sia l’est, popolato in maggioranza dai curdi, hanno votato per l’opposizione, senza che questo permettesse di spostare i risultati in suo favore.
La ricetta vincente del successo duraturo della coalizione pro Erdogan è una mescolanza di politiche identitarie e di misure economiche. La popolazione anatolica, marginalizzata culturalmente per tre quarti di secolo di laicizzazione all’europea da parte di Ataturk e dei suoi eredi, ha significativamente beneficiato del sostegno apportato dal partito Akp alle classi medie religiose dal suo arrivo al potere nel 2002. Ciò ha contribuito alla crescita a due cifre durante il suo primo decennio al potere, successo che si iscriveva nella crescita globale dei Fratelli musulmani in Medio oriente a quell’epoca, e che Washington, come Bruxelles, celebrarono come “modello turco”. Nonostante queste politiche si siano rivelate insostenibili, generando l’inflazione massiccia di oggi e la svalutazione della moneta nazionale, il blocco elettorale anatolico del presidente ha temuto di dover pagare il prezzo degli orientamenti economici più ortodossi ispirati ai modelli occidentali, e l’ha sostenuto senza esitazione, nonostante la durezza della vita quotidiana (…).
A prescindere da quale sarà il risultato del presidente uscente al secondo turno, il solo fatto che non sia riuscito ad avere la meglio il 14 maggio ha mostrato che la quasi metà dei 60 milioni di elettori hanno messo da parte le loro contraddizioni tra laici e religiosi, nazionalisti e curdi, sunniti e aleviti, per fondersi in un rigetto viscerale del dirigente turco. Resta da vedere in che misura questa coalizione così com’è potrà sopravvivere a una sconfitta il 28 maggio, ma la polarizzazione della società civile attorno alla figura divisiva di Recep Tayyp Erdogan è più profonda che mai. Alcuni hanno messo in dubbio la capacità del suo avversario, Kemal Kiliçdaroglu, dopo che ha diffuso un video diventato virale sulla sua origine alevita (è anche parzialmente curdo), di sedurre gli elettori anatolici turco-sunniti, che avrebbero potuto votare per lui se le questioni economiche fossero state il principale motore della loro scelta: ma la questione dell’identità culturale sembra aver avuto un grande peso (…). La Turchia profondamente polarizzata che si profila per il dopo 28 maggio rischia di illustrare la linea di faglia tra occidente liberale e oriente autoritario – molto più che il ponte tra le culture che l’uomo forte di Ankara ha affermato di incarnare durante i suoi due decenni di potere.
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