Un Foglio internazionale
L'altra Russia esiste
Per aver manifestato contro la guerra in Ucraina, il dissidente Oleg Orlov rischia di raggiungere nel gulag altri oppositori di Putin. La denuncia di Jonathan Littell
Ogni lunedì, nel Foglio c'è Un Foglio Internazionale, l'inserto con le segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere, a cura di Giulio Meotti
"Urss 1945: il paese che ha sconfitto il fascismo” scrive su Le Monde Jonathan Littell, scrittore e regista francese, vincitore del premio Goncourt nel 2006 con il romanzo “Les Bienveillantes”. “Russia 2022: il paese del fascismo trionfante”. Questo slogan crudele ma azzeccato, è un uomo esile, con un paio di baffetti e i capelli bianchi, a esibirlo su un manifesto, a fine aprile 2022, davanti alle tribune tricolori allestite sotto il muro del Cremlino, in occasione della celebrazione della “vittoria sul fascismo” del maggio 1945. Si chiama Oleg Orlov e quando verrà prelevato dalla polizia, pochi istanti dopo, sarà per la quinta volta dal 24 febbraio. Un anno dopo, il 21 marzo di quest’anno, Oleg Orlov, con altri otto membri dell’organizzazione Memorial – che ha contribuito a fondare alla fine degli anni Ottanta e che nell’ottobre del 2022 è stata insignita del Premio Nobel per la pace — viene arrestato per sospetta “riabilitazione del nazismo”. Il giorno stesso, viene incolpato di aver “screditato l’esercito russo a più riprese” (reato passibile di sette anni di reclusione), principalmente a causa della pubblicazione in francese su Mediapart di un testo che bolla la Russia come uno stato fascista. Gli investigatori della Commissione d’inchiesta non sembrano affatto aver notato la contraddizione tra le due imputazioni. La Russia può essere considerata oggi come uno stato fascista? A mio avviso, non ci sono dubbi. Ma com’è possibile, si obietta, che il paese successore a quello che ha sconfitto il fascismo tedesco sia a sua volta sprofondato nelle tenebre? È possibile che il germe sia sempre stato presente? È quanto ipotizzava il grande scrittore sovietico Vasily Grossman, quando nel suo romanzo “Vita e destino” — romanzo “bloccato” dal Kgb, secondo le parole dello stesso autore, quando tentò di pubblicarlo nel 1962 – mise in scena un dialogo tra l’ufficiale delle SS Liss e il militante bolscevico Mostovskoj. “Quando ci guardiamo”, afferma Liss, “non vediamo soltanto un volto odiato, ma ci fissiamo in uno specchio (…). Se sarete voi a vincere (questa guerra), noi periremo, ma continueremo a vivere nella vostra vittoria. È un paradosso: se perdiamo la guerra, la vinceremo, e ci evolveremo sotto un’altra forma, ma conservando la nostra essenza (…). Di questo potete star certi, coloro che oggi ci guardano con orrore, guarderanno anche voi con orrore”. Parole profetiche. Da oltre un anno, Putin e i suoi propagandisti vanno sostenendo che l’Ucraina è diretta da un “regime nazista”, e che bisogna ad ogni costo “denazificarla”: queste parole suonano vuote, tanto è palese a tutti da che lato si trovi il nazismo. Prendiamo, come fa Orlov nel suo testo, la definizione del fascismo elaborata nel 1995, su richiesta del presidente Eltsin, dall’ufficialissima Accademia delle scienze di Russia: “Il fascismo è un’ideologia e una pratica che affermano la superiorità e l’esclusività di una nazione o di una razza particolare e che puntano a incitare l’intolleranza etnica, a giustificare la discriminazione verso i membri degli altri popoli, a negare la democrazia, a diffondere il culto del leader nazionale, a ricorrere alla violenza e al terrore per mettere a tacere gli oppositori politici e qualsiasi forma di dissidenza, e giustificare il ricorso alla guerra come mezzo per risolvere i conflitti tra gli stati”. Difficile, leggendo questa definizione, non pensare a Putin, che nega l’esistenza stessa dell’Ucraina e delle persone che si considerano “ucraine”, che ha scatenato un’atroce guerra d’aggressione in nome di un’ideologia imperiale ed etnica, che ha distrutto metodicamente la democrazia così faticosamente introdotta nel paese negli anni Novanta e che oggi imprigiona anche i più insignificanti dei suoi oppositori, compresi gli adolescenti che hanno messo un “like” a un post di condanna alla guerra o i genitori di bambini che a scuola hanno fatto un disegno a favore della pace. Oleg Orlov rischia di andare a raggiungere Aleksej Navalny, Vladimir Kara-Murza, Ilya Yashin e tanti altri oppositori del regime, intenzionali o casuali, nel gulag di Putin. Orlov sapeva bene a che cosa andava incontro la prima volta che mise piede nella Piazza Rossa, il 10 aprile del 2022, sollevando un cartello con le parole: “Il nostro rifiuto di conoscere la verità e il nostro silenzio ci rendono complici dei crimini”. Minacciati, da allora, da una condanna penale, i suoi amici l’hanno pregato di partire e di continuare la sua lotta –iniziata nel 1979, quando da solo si mise a distribuire volantini contro l’occupazione sovietica dell’Afghanistan – all’estero. Ma Orlov, come Yashin, Kara-Murza e Navalny, si è rifiutato di lasciare il suo paese. Da dove nasce l’ostinazione di certi russi, che preferiscono marcire nelle galere del regime anziché fuggire, anche quando le autorità concedono loro tutte le occasioni e, anzi, li incoraggiano a farlo? (…). Uomini come Orlov, Navalny e gli altri, che provano per il loro Paese un amore tanto intenso quanto indissociabile dal senso di giustizia, si battono per quello che il loro paese dovrebbe essere, e non per quello che è. Sanno benissimo che spetta a loro, ai russi e a nessun altro, il compito di cambiare il paese, di trasformarlo, di estirpare il virus del fascismo per farne un paese libero e democratico.
(Traduzione di Mauro Zanon)
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