Un Foglio internazionale
La guerra dell'Iran a Israele
Gli ultimi attacchi terroristici palestinesi non sono una nuova intifada ma una operazione militare a tenaglia del regime di Teheran, ora anche dalla Samaria
"E’ invalsa la tendenza in occidente a classificare tutti gli attacchi terroristici palestinesi contro Israele come ‘intifada’”, scrive Dan Diker su Israel Hayom. “Il termine deriva dalle violenze di massa che si scatenarono nel dicembre 1987 nelle città arabe palestinesi in Giudea e Samaria (Cisgiordania). Inizialmente innescata dalla rivendicazione degli arabi del posto per una maggiore libertà socio-economica e un migliore tenore di vita, nel giro di pochi mesi quell’intifada fu cooptata dal capo dell’Olp (Organizzazione per la l iberazione della Palestina) che aveva sede a Tunisi, Yasser Arafat, come una prosecuzione della sua pluri-decennale guerra totale contro l’esistenza dello stato ebraico e democratico, l’obiettivo esplicitamente dichiarato nella Carta dell’Olp del 1964/68. Il brand ‘intifada’ era destinato a restare scolpito nella percezione e nel lessico dei mass-media internazionali. Come tale, venne indebitamente applicato anche alla successiva campagna di terrorismo stragista suicida condotta da Hamas, Fatah e Jihad Islamica Palestinese soprattutto negli anni 2001-2004, definita appunto ‘seconda intifada’. Quella campagna era nota ai suoi protagonisti come ‘intifada al-Aqsa’, a indicare una guerra islamica incentrata sulla centenaria accusa palestinese secondo cui gli ebrei profanerebbero la moschea di al-Aqsa, una calunnia già brandita negli anni Venti dal primo leader clericale palestinese, Haj Amin al-Husseini.
Oggi, nel 2023, la natura di quest’ultima ondata di terrorismo palestinese originato nelle città di Jenin e Nablus in Samaria dovrebbe essere molto più facile da identificare, visto che la Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha apertamente esortato a esportare la rivoluzione islamica del regime khomeinista nelle colline della Cisgiordania settentrionale. Questa non è un’intifada. E’ una premeditata operazione militare a tenaglia del regime iraniano, che ora viene condotta dalle colline della Samaria settentrionale. Oggi l’Iran accerchia Israele su tre lati. Da Gaza, nel sud, i gregari del corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche, Hamas e Jihad islamica palestinese, possono attaccare Israele con decine di migliaia di razzi e tunnel terroristici. Dai paesi confinanti a nord, Libano e Siria, la forza Quds del corpo delle Guardie rivoluzionarie e l’esercito terrorista iraniano per procura Hezbollah dispongono di circa 180.000 razzi e missili puntati contro le città israeliane. Di recente Hezbollah ha persino creato degli avamposti sul versate israeliano del confine internazionale fra Libano e Israele. Adesso il regime iraniano è riuscito a portare la sua guerra contro Israele, che dura da 44 anni, fin sulle colline di Samaria che si affacciano sull’aeroporto internazionale Ben Gurion e sulle principali città israeliane lungo la costa mediterranea.
Le prove sono schiaccianti. Nella settimana di metà giugno, la dirigenza di Hamas e Jihad islamica palestinese si è recata in visita a Teheran per un incontro con la forza Quds, il braccio per le attività all’estero delle Guardie rivoluzionarie islamiche, per discutere delle recenti operazioni delle Forze di difesa israeliane a Gaza e coordinare le attività armate contro Israele, portando avanti la strategia multi-fronti ideata dal comandante delle Guardie rivoluzionarie Qassem Soleimani, che è stato ucciso da un attacco di droni statunitensi nel 2020 ma la cui eredità strategica permane. Questi incontri ad alto livello hanno coinciso con un’ondata di attacchi terroristici in Giudea e Samaria, alcuni compiuti direttamente da Hamas e Jihad islamica palestinese. Ciò ha incoraggiato l’Iran, che cerca di fare di Giudea e Samaria un ulteriore campo di battaglia nella sua escalation aggressiva contro Israele. Il recente attentato terroristico che ha ucciso quattro israeliani alle porte della comunità ebraica di Eli, in Samaria, è solo l’ultimo assalto sostenuto dall’Iran. Dall’inizio di quest’anno sono una trentina gli israeliani che sono stati assassinati in attacchi terroristici sostenuti dall’Iran.
La campagna terroristica iraniana non si svolge nel vuoto. Il contesto storico è importante. Sin dal 1979, i capi iraniani hanno etichettato Israele come ‘il piccolo Satana’ e si sono votati alla sua distruzione. Il regime iraniano non ha mai abbandonato questo obiettivo. Da anni le Guardie rivoluzionarie dirigono e riforniscono di armi Hamas e Jihad islamica. Le navi cariche di armi iraniane Karine A (2002), Calipso (2003) e Klos (2014), inviate per rifornire Olp e Hamas a Gaza con migliaia di tonnellate di armi, sono state presto dimenticate dalla comunità internazionale. Fino a poco tempo fa, le Guardie rivoluzionarie del regime iraniano e la sua forza Quds per l’esportazione del terrorismo concentravano principalmente la loro presenza nella striscia di Gaza, dove i loro agenti in loco sono attivi sin dalla guerra antiterrorismo del 2014 nell’assistere Hamas nella produzione di droni e razzi. Fu Soleimani a suggerire a Hamas la campagna della Grande Marcia del Ritorno del 2018-2019, organizzata investendo migliaia di dollari per pagare gli adolescenti di Gaza che si lanciavano verso la barriera di confine tra Gaza e Israele esponendosi a fuoco di difesa israeliano. Gli agenti delle Guardie rivoluzionarie iraniane sono coinvolti anche nella costruzione dei tunnel di Hamas, pensati per infiltrarsi in Israele e uccidere o prendere in ostaggio israeliani.
Significativamente, l’Iran vede l’eventuale tracollo del governo laico dell’Autorità palestinese, dominato da Fatah, come un’opportunità per avventarsi sulla Samaria. Recenti sondaggi palestinesi rispecchiano il sostegno di cui godono le milizie terroristiche locali sostenute dall’Iran, come la ‘Fossa dei leoni’, in quanto diretta conseguenza della frustrazione pubblica nei confronti dell’Autorità palestinese profondamente corrotta. Siccome è improbabile che emerga un chiaro successore del vecchio Abu Mazen, la sua uscita di scena scatenerà il caos tra questi gruppi armati che si contenderanno il controllo (facendo anche a gara a chi si può vantare d’essere più militante nel terrorismo contro Israele), e l’Iran sfrutterà il vuoto di potere a proprio vantaggio.
L’attività iraniana nel nord della Samaria è il chiaro segnale che le forze terroristiche iraniane sono penetrate nel territorio e rappresentano una minaccia strategica per Israele. I dirigenti delle Guardie rivoluzionarie hanno garantito al capo della Jihad islamica palestinese, Ziyad al-Nakhalah, che l’Iran farà arrivare altre armi in Giudea e Samaria attraverso la Giordania e che la Jihad islamica riceverà ulteriore sostegno finanziario. L’Iran ha anche esortato a creare impianti per la produzione di razzi nel nord della Cisgiordania. Nakhalah ha apertamente celebrato l’incrollabile sostegno dell’Iran ai palestinesi dicendo: ‘Nessun altro paese al mondo prende una posizione così esplicita’ che ‘attesta il sostegno di Teheran alle fazioni della resistenza palestinese’ e ‘mette in risalto i forti legami tra Jihad islamica, Hamas e Repubblica islamica’. Il 17 giugno Nakhalah ha incontrato anche Mohammad Baqer Qalibaf, presidente del Majlis (parlamento iraniano).
Dal canto suo, il capo di Hamas Ismail Haniyeh ha incontrato la Guida suprema Khamenei e il presidente iraniano Ebrahim Raisi. Nell’occasione, Haniyeh ha dichiarato che l’attacco terroristico di giugno a Eli, costato la vita a quattro innocenti, era ‘solo l’inizio’ di una rinnovata campagna contro Israele. A Teheran è andato anche il vice di Haniyeh, Saleh al-Arouri, capo dell’ala militare di Hamas in Giudea e Samaria, responsabile di quell’attentato. In Iran, l’esponente di Hamas Osama Hamdan ha menzionato l’importante ruolo degli arabi israeliani nella battaglia contro Israele, evidenziato dalle violenze scoppiate durante l’operazione antiterrorismo delle Forze di difesa israeliane a Gaza nel maggio 2021. Hamdan ha detto che Giudea e la Samaria stanno entrando in una nuova fase di ‘resistenza’, riferendosi alla creazione in Samaria ad opera dell’Iran di 20 o 30 nuovi ‘battaglioni’ di 2.000 miliziani che puntano a diffondersi nella regione intorno a Ramallah (la capitale di fatto dell’Autorità palestinese di Abu Mazen ndr).
Come ha ricordato l’analista di intelligence Micky Segal in una recente analisi del Jerusalem Center for Public Affairs, Khamenei ha ribadito l’importanza di Giudea e Samaria affermando che ‘se Gaza è il centro della resistenza, il punto che metterà in ginocchio il nemico è la Cisgiordania’. Khamenei, che spesso si incontra con i palestinesi della Jihad islamica, ha dichiarato: ‘La forza crescente dei gruppi di resistenza in Cisgiordania è la chiave che può mettere in ginocchio il nemico sionista, ed è fondamentale che proseguiamo su questa strada’”.
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