Un Foglio internazionale
A Mosca si dice addio al mitico Centro Sakharov
Dall’inizio dell’“operazione speciale militare”, due terzi dei collaboratori hanno scelto l’esilio; altri sono stati licenziati scrive il Monde
L’ultimo trasloco prima della fine del mondo. Nel piccolo appartamento moscovita che ospitava il “Museo Sakharov” dal 1996, gli scaffali si svuotano e gli scatoloni si accumulano. Consacrato al dissidente e premio Nobel per la pace 1975, lo spazio chiude le sue porte. Appartiene al comune di Mosca e quest’ultimo ha ordinato al Centro Sakharov, la struttura che gestisce il museo, di liberare gli uffici prima del 24 febbraio. Impegnata a salvare il salvabile, Natalia Tyurina non vuole vedere malizia nella scelta di quella data, primo anniversario dell’“operazione militare speciale” in Ucraina. Secondo la vicedirettrice del centro, la città non fa altro che applicare “con zelo” la nuova legge sugli “agenti stranieri”, adottata nella sua nuova versione nel dicembre 2022. Quest’ultima vieta alle strutture statali di apportare il minimo aiuto agli “agenti stranieri”, etichetta affibbiata al Cento Sakharov dal 2014. Oltre agli artefatti che raccontano la vita del fisico (1921-1989), padre della bomba H sovietica prima di diventare uno dei più importanti dissidenti del suo tempo, il museo ospita dei preziosi archivi. “Sistemando tutti questi scatoloni, sono colpito dal numero di lettere che Sakharov riceveva, di sostegno o di richiesta d’aiuto”, nota Andrei Bakhmin, responsabile degli archivi. “Si trovano anche dei cimeli straordinari, come questo documento del Kgb recuperato negli anni Novanta dalla vedova di Sakharov, Elena Bonner. E’ l’ordine dato agli agenti di mettere sotto intercettazione il suo appartamento nel 1970, quando Sakharov ha cominciato a criticare il potere sovietico”. In tutta fretta, la piccola squadra si sforza di concludere il lavoro di digitalizzazione degli archivi lanciato alcuni anni fa e sposta i cartoni in un appartamento vicino polveroso, occupato dai coniugi Sakharov al ritorno dal loro esilio forzato a Gorki (Nizhny Novgorod), nel 1986.
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Questo appartamento non appartiene al comune di Mosca, e ha conservato le tracce della vita della coppia, dai mobili color marrone spento tipici dell’Unione sovietica fino ai vinili a cui il fisico era affezionato. E’ l’ultima possibilità per salvare il salvabile. Il tempo, come i mezzi, non sono sufficienti per questo lavoro da formiche: dall’inizio dell’“operazione speciale”, circa due terzi dei collaboratori hanno scelto l’esilio; altri sono stati licenziati, poiché il centro non poteva più pagarli, privato dei suoi finanziamenti stranieri dalle sanzioni bancarie applicate contro la Russia. “Il comune avrebbe perfettamente potuto attendere prima di farci sloggiare”, afferma il direttore Sergei Lukashevski, che fa parte di quelli che hanno scelto l’esilio. Altro indizio della chiara volontà delle autorità di distruggere il mitico centro: la multa di 5 milioni di rubli (65 mila euro circa), inflitta lo scorso dicembre, per ipotetiche violazioni della legge sugli “agenti stranieri”, che la struttura è incapace di pagare. Il Signor Lukashevski è stato condannato a titolo personale a pagare 3 milioni di rubli. L’importanza del Centro Sakharov va oltre il piccolo museo situato a via Zemlyanoi Val. C’è il centro stesso, sulle rive del fiume Jauza, uno dei luoghi più vibranti della vita intellettuale moscovita.
Questo edificio del Diciannovesimo secolo, che possiede un pezzo del muro di Berlino davanti alla sua porta, deve a sua volta essere liberato entro aprile. In questo caso, non c’è nessuna soluzione di ripiego: la mostra permanente, che fungeva da ultimo museo indipendente di Mosca sul periodo sovietico, sparirà. La sua chiusura annunciata porta una piccola folla di visitatori, curiosi o persone in pellegrinaggio. Ultimo crepacuore, i collaboratori del Centro Sakharov devono respingere le famiglie: la legge del dicembre 2022 vieta agli “agenti stranieri” qualsiasi contatto con i minorenni. Sulla porta, un pannello avverte: “Vietato ai minori di 18 anni”. Più significativo ancora, la scomparsa della grande sala con i muri di mattoni rossi che ha accolto dal 1995 centinaia di conferenze e mostre. Alcune hanno contribuito alla celebrità del Centro Sakharov, come la mostra “Attenzione, religione!”, distrutta nel 2003 da alcuni fanatici ortodossi. Nel 2016, è toccato a una mostra di foto sull’intervento russo nel Donbass subire un attacco (…). Spazio di discussione e di libertà unico nel suo genere, capace di attirare persone al di là del cerchio ristretto dell’intellighenzia che sta invecchiando, il Centro Sakharov dispensava anche delle formazioni per i difensori dei diritti umani di tutta la Russia e organizzava mostre itineranti.
(Traduzione di Mauro Zanon)