Un Foglio internazionale
Russia, la terra promessa, da Ivan il Terribile a Vladimir Putin
Il grande storico Orlando Figes racconta come le origini culturali, religiose e politiche del putinismo affondano nella storia millenaria del suo paese
Jonathan Kay, redattore capo di Quillette, ha ricevuto lo storico Orlando Figes, in occasione dell’uscita del suo nuovo libro “La storia della Russia”.
Cominciamo con una domanda. Nel suo libro parla della “sacralità” dell’autorità degli zar russi, che spieghi essere un’eredità di Bisanzio. Prima di leggerla, non avevo assolutamente idea che la teologia cristiana ortodossa si fosse mescolata con l’etno-populismo slavo per generare questo tipo di visione teocratica – e persino apocalittica – dell’Impero russo come “terza Roma”. Ci spiega cosa significa questa terza Roma?
Questo concetto di una terza Roma, che è centrale nel modo in cui i russi intendono la loro missione nel mondo, rende la Russia una sorta di terra messianica – molto simile a Israele – nella teologia medievale adottata da Ivan il Terribile, il primo a essere incoronato zar. Questo avrebbe permesso, dopo tutti questi anni di occupazione mongola, di recuperare simbolicamente l’eredità bizantina attraverso la sua incoronazione. Secondo questa idea, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, Mosca sarebbe stata l’ultima autentica sede dell’ortodossia cristiana. E non ce ne sarebbero mai più. L’occidente era caduto. Caduta da uno stato di grazia di cui la Russia poteva ancora vantarsi in virtù della sua religione ortodossa. Da allora in poi la vera salvezza dell’umanità si troverà nella santa Russia. Questa idea della Russia come terra provvidenziale scelta per salvare l’umanità è al centro stesso dell’Impero russo e, più tardi, del comunismo. E’ profondamente legata alla sacralizzazione del potere, perché presenta lo zar come la manifestazione diretta di Dio sulla terra – come lo vedeva lo stesso Ivan il Terribile. La sua missione non era solo salvare l’umanità, ma anche preparare il suo popolo al giorno del giudizio. Ciò significa che lo zar può essere anche martire del suo popolo, nel senso che deve renderlo degno di questo ruolo messianico. Putin è pienamente in questa tradizione. Ai suoi occhi, la Russia ha una missione che va oltre i suoi rigidi confini territoriali. Allo stesso modo, nel Diciannovesimo secolo, Nicola I affermò che la Russia aveva la sacra missione di liberare i cristiani ortodossi dall’Impero ottomano. E, infatti, riteneva che si dovesse arrivare fino alla liberazione di Gerusalemme.
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Citerò un passaggio del libro che ho trovato notevole, la descrizione delle conseguenze della presa di Kazan da parte delle truppe di Ivan il Terribile, nel 1552: “Una grande icona intitolata ‘Beati i guerrieri del Re del Cielo’ era dipinta di fronte al trono dello zar nella Cattedrale della Dormizione, chiamata anche ‘La Chiesa militante’, mostra un Ivan a cavallo sulle orme dell’Arcangelo Michele, che precede le truppe russe che lasciano le fiamme infernali di Kazan e arrivano a Mosca, rappresentata come Gerusalemme, dove vengono accolte dalla Vergine e Bambino. L’iconografia prende in prestito dal Libro dell’Apocalisse, in cui Michele trionfa su Satana prima dell’Apocalisse. Ivan appare come il nuovo re Davide e i russi come il popolo eletto di Dio, i nuovi israeliti”.
Ciò che Ivan stava per spazzare via a Kazan era un intero regno – il khanato – che era sopravvissuto da quando i Mongoli avevano invaso la Russia nel XIII secolo. Questa fu una delle ultime propaggini dell’Orda d’Oro, l’occupazione mongola della Russia. La vittoria di Ivan fu percepita come una sorta di liberazione provvidenziale, che pose fine a più di due secoli di dominazione mongola sui russi e che aveva portato, almeno in alcuni luoghi, al saccheggio delle città e l’incendio delle chiese. Consideriamo il tipo di precarietà esistenziale sopportata dalla civiltà cristiana russa in una steppa eurasiatica popolata da pagani, musulmani e, talvolta, ebrei. Ecco, quell’idea fece dei russi i portatori della missione cristiana. E sì, questa nozione di fusione tra stato e zar è al centro di ciò che, come sostengo, rende la Russia molto diversa dalla tradizione occidentale. Durante il Rinascimento, e probabilmente anche prima nella maggior parte dei paesi occidentali, ci fu una crescente separazione tra il re e la chiesa. Questa separazione in Russia non è avvenuta a causa della tradizione bizantina di fusione tra chiesa e stato, rappresentati dal sacro corpo dello Zar, ma anche di quella che considero un’altra grande continuità strutturale della storia russa, il patrimonialismo. L’idea di stato in Russia, espressa dal termine russo gosudarstvo, è fusa con l’idea di governante, il gosudar, che significa non solo governante, ma un sovrano o chiunque abbia una proprietà patrimoniale sulla terra – che è, di fatto, la fonte stessa del concetto di potere in Russia. Se prendiamo la parola potere nella maggior parte delle lingue europee, essa deriva dall’idea di azione autonoma, che, alla fine, diventa proporzionale all’idea delle libertà individuali. Ma nella tradizione russa la parola potere è vlast, che deriva da vólost, ovvero l’entità territoriale dove si possiede sia la terra che coloro che la abitano.
I miei nonni paterni sono russi. Mia madre si era sforzata di imparare il russo per poter comunicare con mia nonna, sua suocera, perché il suo inglese non era molto buono, nonostante vivesse in Canada da molti anni. Ma mia madre, che tuttavia aveva imparato il tedesco, lo yiddish e l’ebraico, rinunciò al russo perché, come diceva, anche la minima banda di predoni a cavallo vi aveva infilato dentro il proprio sacco di declinazioni verbali, cosa che la disperava. Come può la geografia spiegare la mentalità russa?
Molti storici di grande prestigio hanno fatto della geografia il fattore determinante nell’analisi della Russia. Iniziamo sempre dalla geografia, inclusa la natura problematica dei confini della Russia. Il fatto è che si tratta di una massa continentale eurasiatica piatta che si estende dai Carpazi agli Urali. Basti dire che non avevano alcun punto di difesa contro le tribù asiatiche e i cavalieri mongoli, che erano piuttosto avanzati per l’epoca e non avevano problemi a conquistare la Russia. Secondo George Vernadsky – lo storico che più di ogni altro ha messo in luce l’elemento eurasiatico della Russia – c’era un solo modo per i russi di difendersi dalle orde asiatiche: stabilirsi in tutta l’Asia. Sul lato occidentale della Russia, l’insicurezza è ancora più problematica perché, a differenza dell’Asia del XVI secolo, i russi si confrontano con stati europei molto più potenti: gli svedesi, i polacchi, i lituani e i tedeschi. Ciò li ha gettati in una paranoia ancora maggiore perché non potevano difendere i loro confini aperti e vulnerabili su quello che potrebbe essere chiamato il fronte del Mar Nero. La conquista e l’affermazione del potere russo sull’Ucraina, la conquista della regione del Mar Nero da parte di Caterina la Grande alla fine del XVIII secolo e poi la sconfitta del Khanato di Crimea: tutto ciò ha avuto un’enorme importanza dal punto di vista geopolitico per i russi. Altrimenti temevano che la regione del Mar Nero sarebbe diventata una sfera minacciosa a causa della presenza delle potenze occidentali in seguito al declino dell’Impero ottomano. Questa regione del Mar Nero rappresentava anche, per così dire, una linea di demarcazione tra la Russia cristiana e le culture musulmane del Caucaso e della Crimea. Il fatto che attraversi il confine meridionale della Russia, come avveniva nel XVIII secolo, lo ha aperto all’infiltrazione occidentale attraverso le tribù musulmane che resistevano all’occupazione russa.
La sua analisi storica di Russia e Ucraina risale alla “Kiev Rus”, la civiltà proto-russa discendente dai Vichinghi emersa alla fine del IX secolo in quella che oggi è Ucraina.
Sì, significa “bordo” o “confine” – okraina. Ho scritto questo libro con l’idea di concentrarmi sulle mitologie che hanno strutturato la comprensione della propria storia da parte dei russi, perché mi sembrava che Putin avesse inviato segnali di allarme molto chiari: avrebbe negato il diritto dell’Ucraina a esistere diversamente da una regione di confine della Grande Russia. Per lui lo è sempre stata, almeno fino alla formazione dell’Unione Sovietica, quando i comunisti le diedero un’autonomia statale artificiale. Ciò spiega il simbolismo che ha spinto Putin a erigere, nel 2016, una statua di Vladimir il Grande, che convertì se stesso e il suo popolo al cristianesimo in Crimea nel 988 d. C. Così, secondo Putin, il sovrano di Kiev si unì a Bisanzio e divenne il fondatore dello stato russo. Ciò equivale a dire che l’Ucraina non esiste come entità indipendente. Salvo che nella stessa Kiev esisteva già una statua del Gran Principe Vladimir, costruita nel 1853 quando l’Ucraina faceva parte dell’Impero russo. Alla fine del XIX secolo, questa statua era già diventata una sorta di centro informale della sensibilità indipendente ucraina, diversa dalla Russia. Ciò è rimasto vero anche dopo il 1991, quando gli ucraini hanno deciso di costruire la loro nazione con l’idea di non far parte della Russia. Secondo questo punto di vista, la Rus’ di Kiev non proveniva dalla Russia, ma dall’Ucraina. E’ questo punto di vista che si è imposto nell’ideologia nazionalista ucraina. Tutto questo per dire che le origini della guerra in Ucraina sono profondamente storiche, anche se oggi assistiamo più alla lotta di Putin contro l’occidente, poiché probabilmente sa che non riuscirà mai a conquistare tutta l’Ucraina.
(Traduzione di Giulio Meotti)
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