L'editoriale

Perché i soldi spesi per l'Ucraina fanno bene anche a noi

Claudio Cerasa

Ridurre gli aiuti a Kyiv, come vorrebbero i nazionalisti? Meglio fare prima un viaggio in Finlandia, o nella stessa Ucraina, per capire quanto è importante per una democrazia liberale essere protetta dai dispotismi illiberali

Abbiamo scritto su questo giornale che di questi tempi parlare poco di Ucraina in fondo è una buona notizia. Se ne parla per i fatti di cronaca, per i movimenti della controffensiva, per le difficoltà incontrate sul fronte dall’esercito russo, per l’economia putiniana a rischio tracollo, per il numero sempre più elevato di disertori dell’esercito dello zar (il 28 agosto i servizi segreti inglesi hanno reso noto un dato interessante: il 25 agosto, due soldati russi sono stati condannati da un tribunale militare a scontare almeno due anni in una colonia penale per essersi rifiutati di obbedire all’ordine di tornare al fronte in Ucraina, il 18 luglio il notiziario Mediazona ha riferito che la Russia ha condannato quasi 100 soldati a settimana per essersi rifiutati di combattere e se questa tendenza dovesse continuare ci sarebbero circa 5.200 condanne all’anno per rifiuto di combattere). Di Ucraina, dunque, si parla per ciò che succede a livello militare. Ma non se ne parla invece per ciò che sta succedendo a livello politico nei paesi che sostengono l’eroica resistenza di Kyiv. Non se ne parla perché al contrario di quanto sosteneva qualcuno – per esempio Matteo Salvini giusto un anno fa a Cernobbio durante la campagna elettorale – il sostegno a Kyiv non ha prodotto le catastrofi annunciate.

 

Le sanzioni hanno fatto male alla Russia, non all’Europa. L’alternativa al gas russo, grazie al Gnl americano, è stata trovata in fretta. L’economia dell’Eurozona, compresa quella dell’Italia, non è crollata (anche se ora, nel nostro paese, dopo una crescita robusta, ha registrato un calo nel secondo trimestre). Il lavoro, almeno finora, è aumentato a livello da record, e le flessioni registrate negli ultimi mesi in Italia dipendono più dai costi prodotti dall’inflazione che dai costi generati dalla guerra (la quale inflazione ha origini molto diverse dalle conseguenze generate dal conflitto). Non avere ogni giorno l’Ucraina al centro del dibattito pubblico è sconfortante se si pensa all’orgoglio che dovrebbe manifestare l’occidente per aver reso possibile la difesa di un paese aggredito. Ma è confortante invece se si pensa al vero motivo per cui il fronte unico della zizzania anti Zelenski ha perso vigore: la consapevolezza, amara, che difendere la nostra economia, e il nostro benessere, non è incompatibile con la difesa della democrazia di uno stato assediato. Siamo ottimisti, lo sapete, e il bicchiere mezzo pieno è quello che cattura maggiormente la nostra attenzione.

 

Ma poniamo il caso che improvvisamente il fronte unico della zizzania dovesse tornare a farsi sentire (per esempio, e non lo diciamo a caso, suggerendo, come potrebbe fare la Lega, di non spendere più tutti questi soldi per l’Ucraina: “L’Europa deve occuparsi davvero degli ucraini se gli italiani muoiono di fame?”). E poniamo il caso che le campagne elettorali delle europee dovessero suggerire ai partiti più influenzabili dall’estremismo di utilizzare il tema ucraino per distanziarsi dalla nuova destra mainstream. Dovesse accadere, c’è una lettura che ci sentiremmo di consigliare con forza, per evitare di farsi guidare dalla demagogia, dall’estremismo e dal populismo. E’ la lettura di un viaggio speciale fatto da Dave Seminara, un ex diplomatico e autore di “Mad Travelers: A Tale of Wanderlust, Greed and the Quest to Reach the Ends of the Earth”. Un viaggio fatto tra la Finlandia e i paesi baltici. Il primo viaggio è a casa di Pekka Veteläinen e Anna Saarela, due finlandesi che si guadagnano da vivere con gli orsi russi, che vivono a mezzo miglio dal confine con la Russia e che hanno mostrato allo scrittore in forza al Wsj perché un paese come la Finlandia è stato costretto a entrare nella Nato. Senza protezione, il mondo libero è esposto. Con una protezione, il mondo libero è coperto. Non si tratta di provocare, si tratta di prendere atto che il mondo è cambiato e solo chi vuole minimizzare quello che è accaduto in questi mesi può far finta che le cose non siano così. Il secondo viaggio Seminara lo ha fatto tra Estonia, Lettonia e Lituania. Ovunque andassimo, dice, dal Circolo polare artico alla penisola dei Curi, i sentimenti filoucraini e antirussi erano dilaganti.

 

A Cesis, in Lettonia, la persona che ha ospitato la famiglia di Seminara, Zigmunds Rutkovskis, ha detto con orgoglio che sua figlia stava imparando tutte le lingue importanti, ma non il russo. Al club di tennis locale, il capo professionista Valdis Libietis ha detto che il club aveva accolto un soldato ucraino che aveva perso una gamba in guerra e che ora viveva sopra la clubhouse. A Riga, la capitale della Lettonia, gli ucraini sono su ogni autobus e tram. Si parla con loro, ci si confronta, la guerra è nella quotidianità, la resistenza viaggia sulle rotaie, il futuro dell’Europa, e dell’occidente, è qui seduto di fronte a noi. In Lettonia, un paese della Nato, la guerra è così presente nella vita di ogni giorno al punto che i legislatori hanno approvato una legge in base alla quale i veicoli dei guidatori ubriachi vengono spediti in Ucraina per essere utilizzati dai militari e dagli ospedali (spunto utile per il prossimo codice della strada, caro Salvini). Il Parlamento lettone, poi, lo scorso anno ha modificato la legge sull’immigrazione per richiedere ai cittadini russi che vivono nel paese di superare un test di lingua lettone.

 

A Jaunpils, scrive il Journal, una giovane donna che gestisce un’attività di giochi medievali ha raccontato che un cantante filorusso è stato espulso dal concorso annuale di canzoni del paese. A Vilnius, ancora, la guida di Seminara, Lina, ha detto con orgoglio che la sua nazione di meno di tre milioni di abitanti ha raccolto cinque milioni di euro in tre giorni per acquistare un drone militare avanzato per l’Ucraina. Prima del suo viaggio, Seminara ammette di essere stato sensibile alle argomentazioni dei nazionalisti che pensano che dovremmo ridurre gli aiuti all’Ucraina. Ora non più. Perché il punto non è solo che l’Ucraina conta su di noi per tutelare se stessa ma è anche che noi occidente contiamo sempre di più sull’Ucraina per tutelare le democrazie liberali dalle aggressioni dei dispotismi illiberali. “Non conosco – dice lo scrittore – il modo migliore per affrontare la Russia. Ma so che ora, quando penso a Russia e Ucraina, non mi concentro su Burisma, Hunter Biden o sugli oligarchi ucraini. Mi preoccupa di più il fatto che i miei nuovi amici vivano all’ombra di Vladimir Putin”. L’anno scorso, Draghi, Macron e Scholz salirono su un treno per andare da Zelensky. Per Meloni ripetere un viaggio simile non sarà semplice. Ma ci si potrebbe accontentare se riuscisse a portare il suo vicepremier – che in dieci mesi di governo non ha trovato una sola occasione per andare in Ucraina, un caso ovviamente – a capire cosa vuol dire vivere ogni giorno con il fiato dei russi sul proprio collo. Si scrive Ucraina, si legge libertà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.