Biden, Trump e la democrazia (malata) in America. L'analisi di un diplomatico
Per Gérard Araud, la campagna per le presidenziali rischia di essere uno spettacolo tanto affascinante quanto desolante. L'intervento pubblicato sul Point
Ogni lunedì, nel Foglio c'è Un Foglio Internazionale, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere. Un inserto a cura di Giulio Meotti
La democrazia in occidente è malata – scrive sul Point Gérard Araud, ex ambasciatore di Francia presso l’Onu. I sintomi sono tra l’altro stranamente comparabili nonostante le circostanze nazionali siano inevitabilmente differenti. La crisi della stampa generalista, la proliferazione delle teorie del complotto sui social network, l’ascesa dei partiti estremisti, la sconfessione della classe politica tradizionale, la messa in discussione dello stato di diritto si ritrovano ovunque in questo spazio euroatlantico che fu il centro dell’esperienza democratica. Come spesso è accaduto, gli Stati Uniti hanno aperto la strada e continuano a farlo con quegli eccessi che affascinano gli europei, permettendo loro allo stesso tempo di giungere alla conclusione che non sono così tanto colpiti dalla malattia. A questo proposito, la campagna per le presidenziali li rafforzerà in questo pregiudizio. I nostri amici americani ci offriranno uno spettacolo che rischia di essere tanto affascinante quanto desolante. In ogni caso, ci terrà probabilmente per molto tempo col fiato sospeso.
Analizziamo la situazione. In primo luogo, il presidente Joe Biden non è riuscito a calmare i nervi degli americani che erano tesi dopo quattro anni di Donald Trump. Tuttavia, ci ha provato. Il suo stile di nonno affascinante non ha sortito alcun effetto. Lo si accusa di corruzione per via di un figlio, è un dato di fatto, incontrollabile; viene messa in discussione la sua lucidità per le sue gaffe. La sua politica di grandi cantieri, di sovvenzioni all’industria e di protezionismo per rispondere alle angosce della classe medio-bassa e della classe operaia non ha smorzato la loro rivolta. Si trova oggi nella situazione disperata di fregiarsi di un bilancio economico dignitoso, con una buona parte degli elettori che però non ne è cosciente e ancor meno è riconoscente verso di lui. In fondo, quattro anni di Biden, questo centrista impenitente, non hanno per nulla placato la crisi politica americana, che si è invece aggravata. Il paese è più polarizzato che mai.
Si affrontano due Americhe che non si parlano più. Gli Stati Uniti vivranno dunque un altro ciclo elettorale in un clima di ciò che può essere chiamata “guerra civile virtuale”. Ci si può persino chiedere se persisterà. Dopo tutto, i due terzi dei repubblicani sono convinti che le elezioni del novembre 2020 siano state truccate. Hanno manifestato la loro rabbia il 6 gennaio 2021 occupando il Congresso. Cosa accadrà se perderanno di nuovo alle elezioni del 2024, visto che affrontano lo scrutinio con una commistione di risentimento, di rabbia e di sfiducia? Risentimento per il 2020, rabbia soprattutto nel vedere il loro eroe vittima di quella che considerano come una persecuzione giudiziaria per impedirgli ancora una volta di andare alla Casa Bianca; sfiducia infine nei confronti di istituzioni che giudicano a servizio di élite disprezzate, fatto senza precedenti in un paese dove la Costituzione è tradizionalmente venerata. Trump continua a canalizzare questa rivolta, la alimenta e la amplifica. Dal suo fallimento nel 2020, si è radicalizzato. E’ più violento e meno rispettoso che mai delle procedure democratiche: non solo continua a gridare al complotto, ma sta ora dalla parte dei rivoltosi del 6 gennaio e promette di concedere loro la grazia in caso di vittoria. I processi che lo tormentano e che gli conferiscono un’aura di martire costringono paradossalmente gli altri candidati repubblicani a sostenerlo per non inimicarsi i suoi elettori.
In questo contesto, come sarà la campagna elettorale? Da un lato, la maggioranza degli elettori democratici vorrebbe che il presidente uscente si ritirasse in ragione della sua età. Un signore anziano che tentenna spesso e che è soggetto a breve assenze: è difficile immaginare che galvanizzerà le folle. David Ignatius, giornalista molto conosciuto negli Stati Uniti, figura rispettata dell’establishment democratico, ha scritto persino un editoriale sul Washington Post per invitarlo a ritirarsi. Dall’altro lato, probabilmente Trump, con una maggioranza degli elettori che non vogliono una bestia da palcoscenico senza scrupoli che è soltanto menzogne, brutalità e ignoranza. Con, per complicare lo scenario, grane giudiziarie che lo costringeranno a presentarsi alle convocazioni dei giudici con il rischio di una condanna prima del mese di novembre (…).
Oggi, ad ogni modo, nulla è deciso. Tutti i sondaggi indicano un testa a testa tra i due candidati. In questo clima tossico, dove la verità non ha importanza e dove tutti i colpi bassi sono permessi, temo che Trump abbia la possibilità di farcela. Non arretrerà davanti ad alcuna menzogna e sferrerà ogni colpo anche il più basso, contro un uomo onesto che non ha saputo ritirarsi in tempo per preparare la sua successione.
(Traduzione di Mauro Zanon)
Un Foglio internazionale