UN FOGLIO INTERNAZIONALE
Come nel 1973, con la guerra del Kippur, gli avvertimenti non erano mancati
Un saggista e una storica analizzano le analogie tra il conflitto di allora e l’aggressione di Hamas. Con una differenza sostanziale
Lo sgomento. In questo shabbat, giorno della festa ebraica della Torah, milioni di israeliani vengono svegliati dalle sirene – così comincia l’intervento sul Monde del saggista Marius Schattner e della storica Frédérique Schillo, autori del libro “La Guerre du Kippour n’aura pas lieu” (Archipoche). Una pioggia di razzi si abbatte sul paese, fino a Tel Aviv e ai sobborghi di Gerusalemme – continuano Schattner e Schillo. Quasi tutti i razzi sono stati intercettati dal sistema di difesa anti missili Cupola di Ferro, ma alcuni hanno causato morti e devastazioni. Per i civili che abitano attorno alla Striscia di Gaza, la situazione è ben peggiore. Le famiglie si barricano nella loro stanza sicura per sfuggire ai terroristi di Hamas che bruciano case, uccidono e prendono in ostaggio le persone. Une rave-party che riuniva 5 mila persone si è concluso sotto i proiettili in una situazione di panico generale. La stazione di polizia di Sderot è stata occupata dai commando di Hamas, che sono riusciti persino a infiltrarsi nel quartier generale di divisione israeliano, paralizzando la sua azione per molte ore. Il bilancio è molto pesante: più di 600 persone uccise, più di 2.000 feriti, decine di ostaggi trascinati nei sotterranei di Gaza.
Uno scenario da incubo per Israele. Come non avanzare il parallelo con la guerra del Kippur, scoppiata anch’essa in un giorno sacro del calendario ebraico, quasi cinquant’anni fa, con un attacco a sorpresa combinato degli eserciti siriano e egiziano? E’ lo stesso sgomento, lo stesso choc psicologico. Eppure, anche quella volta, gli avvertimenti non erano mancati. Nel 1973, il governo laburista di Golda Meir non ne aveva tenuto conto, preferendo le rassicurazioni illusorie dei servizi segreti militari secondo i quali gli arabi non avrebbero osato affrontare la supremazia di Tsahal. In questo quinto round della guerra di Gaza, ma molto diverso dagli altri, Hamas è riuscito a condurre un attacco combinato via terra, cielo e mare, e soprattutto a occupare delle città e dei villaggi israeliani, fatto che non succedeva dalla guerra del 1948. Il grave fallimento di Israele permette al movimento islamista di presentarsi come il vero vincitore della causa palestinese, con conseguenze drammatiche da ogni lato della frontiera. Lo stesso errore militare. Come durante i primi giorni della guerra del Kippur, Tsahal è stato preso in contropiede, incapace di analizzare i segnali deboli e di prevedere l’attacco che si profilava sotto il velo delle manovre militari. “Dove sono i soldati, perché non si vede Tsahal?”, dicevano sabato 7 ottobre alcuni abitanti disperati in televisione e sui social network. Oggi, tre quarti delle truppe israeliane si trovano nella Cisgiordania occupata, a causa della recrudescenza degli attacchi palestinesi da più di un anno, esacerbati dagli ultranazionalisti israeliani del governo di Netanyahu, in totale assenza di qualsiasi prospettiva di risoluzione. La stessa hybris, lo stesso accecamento da parte dei responsabili militari e politici di Israele. Eppure, da diversi mesi, alcuni ex ufficiali avevano messo in guardia il governo. Quattrocento ex responsabili della sicurezza, tra cui i capi del Mossad, dello Shin Bet, della polizia e i consiglieri per la sicurezza nazionale, hanno lanciato l’allarme dinanzi al progetto di riforma giudiziaria tanto denigrato che avrebbe fatto sprofondare Israele in una crisi sociale, economica e politica senza precedenti. Hanno accusato il governo di destra e estrema destra di Benyamin Netanyahu di aver indebolito in maniera considerevole la forza militare di Israele con i dissensi prodotti nel paese in seguito a questa riforma, accusata di degradare la democrazia.
Diecimila riservisti hanno minacciato di non voler servire una democrazia illiberale. A fine luglio, il generale in pensione Eitan Ben Eliyahu, ex comandate dell’aeronautica militare, è apparso scosso in televisione: “Stiamo correndo verso il disastro. Sono le 14, il giorno di Yom Kippur”, ossia il momento dell’attacco siro-egiziano del 1973. Questo indebolimento militare non è stato preso in considerazione da parte del governo Netanyahu, mentre Hamas ci ha creduto. E ne sta dando la conferma più drammatica. Oggi, come sempre in Israele, sotto l’effetto dello choc, la popolazione è provvisoriamente coesa. Invoca la distruzione di Hamas, a costo di far pagare alla popolazione della Striscia di Gaza un prezzo ancor più elevato che nelle dimostrazioni di forza precedenti. Si tratterebbe di restaurare la dissuasione e di impedire ad ogni costo che Hezbollah si unisca ai combattimenti e apra un altro fronte al nord (…). A differenza del 1973, la sparizione dello stato di Israele resta per gli islamisti – almeno in teoria e a costo di accettare degli accomodamenti provvisori con il nemico – l’obiettivo proclamato.
(Traduzione di Mauro Zanon)
Il Foglio internazionale