Un Foglio internazionale
“Dinanzi alle atrocità di Hamas alcuni silenzi mi hanno devastato”
“Come riusciremo a preservare la nostra umanità?”. Intervista alla rabbina Delphine Horvilleur, voce del giudaismo liberale in Francia. Scrive il Monde (15/10)
La rabbina Delphine Horvilleur, voce del giudaismo liberale in Francia, confida in un’intervista a Virginie Larousse del Monde come ha percepito da Parigi gli attacchi terroristici di Hamas in Israele. Dinanzi alla tragedia, la rabbina francese, che ha accolto il quotidiano nella sua sinagoga parigina dopo aver celebrato due bar mitzvah, lancia un appello affinché non si cada in “una disumanizzazione assoluta dell’altro campo”.
Dopo gli attacchi di Hamas contro Israele quali sono i suoi sentimenti?
Mi risulta difficile rispondere a questa domanda, perché dipende dalle ore della giornata. Come molte persone, sono abbattuta e sono diventata totalmente pessimista, io che mi sono sempre vista come una persona ottimista, che crede sia possibile il raggiungimento della pace. Questi grandi ideali, oggi, sembrano vuoti. Ho la sensazione che la terra sotto i miei piedi abbia ceduto, che qualcosa sia crollato. Potrei esprimermi come ebrea o come persona legata a Israele, certo. Ma in realtà, è in quanto essere umano, semplicemente, che devo parlare. Vediamo delle immagini di una tale disumanità che la questione che mi tormenta è quella di sapere come possiamo preservare la nostra umanità, assicurarci gli uni e gli altri che, nei tempi a venire, riusciremo a non disumanizzare l’altro a un punto tale da confiscare la nostra anima. Posso capire che nel vicino oriente ci siano delle persone che non riescono più a farlo, perché il livello di odio e di rabbia ha raggiunto laggiù il suo parossismo, ma qui non abbiamo scuse. E provo rabbia dinanzi a coloro che, dalla Francia, aggiungono odio all’odio, che sprofondano in una disumanizzazione assoluta dell’altro campo. Questa grave mancanza di empatia è infatti un terribile difetto morale la cui ripercussione sarà quella di autodisumanizzarci. Di rinchiuderci ancor di più in una solitudine di empatie selettive, un’impossibile fiducia nella parola dell’altro perché non ha saputo essere presente. Abbiamo il dovere, a distanza, di essere gli ultimi guardiani dell’umanità, nonostante la rabbia e la collera, nella necessità morale di denunciare in modo assolutamente inflessibile ciò che si è appena verificato. Nessuna causa, per quanto giusta possa essere, legittima questi crimini di Hamas. Nessuna libertà o emancipazione può essere raggiunta con questa barbarie.
Lei ha fatto molto per il dialogo tra ebrei e musulmani, e ha consacrato un numero della rivista Tenou’a, che dirige, a Isacco e Ismaele, che si intitolava “Se reparler”. Come può essere riallacciato oggi il dialogo?
Ho ricevuto con emozione in questi ultimi giorni centinaia di messaggi di persone che desiderano manifestare il proprio sostegno o chiedere semplicemente come va. Queste persone non sono diventate improvvisamente pro israeliane o pro palestinesi. Hanno soltanto sentito vibrare in loro l’umanità condivisa. Al cospetto di ciò, lo confesso, alcuni silenzi mi hanno devastato. In particolare i silenzi di alcuni amici, sostenitori della causa palestinese e incapaci di denunciare apertamente Hamas. Il loro mutismo è insopportabile. Quando vedo che nessuno, fra i leader palestinesi che conosco in Francia, è capace di denunciare con fermezza le atrocità di Hamas, perdo la speranza, è vero. Ho l’impressione che molte persone siano in ostaggio ideologicamente, in ostaggio attraverso il loro silenzio, in ostaggio dell’ideologia criminale di Hamas e dei suoi alleati. Decidono dunque di restare muti, di relativizzare o di contestualizzare la situazione in modo osceno – deresponsabilizzare gli assassini evocando semplicemente la colonizzazione. E tacere in questo modo la verità: Hamas non vuole la pace o il ritorno al tavolo dei negoziati. Aspira soltanto alla distruzione di Israele, e non a mettere fine all’occupazione della Cisgiordania. Per questa organizzazione, qualsiasi presenza ebraica – dico volontariamente “ebraica” e non “israeliana” – su questa terra deve essere sterminata. Non denunciare questo fatto è un difetto morale per la narrazione palestinese che meriterebbe molto meglio di questo mare di sangue indelebile sulla sua bandiera. Mi aspettavo delle prese di posizione più forti. Alcuni mi rispondono: a che punto è la denuncia della colonizzazione? Beh, appunto, credo di non essere rimasta in silenzio a questo proposito. E siamo in molti, da diversi anni, a portare avanti questo discorso e ad aver denunciato gli effetti terribili della colonizzazione sulla società israeliana. Quest’ultima, talvolta, si inebria del suo potere o è gravemente carente di empatia verso il dolore dei palestinesi. Tuttavia, in nessun momento l’ho vista applaudire l’uccisione di un bambino, lanciare appelli all’annientamento dell’altro o salutare l’audacia di uomini che entrano casa per casa per sgozzare bebè o stuprare donne davanti al cadavere del loro compagno. Le equivalenze hanno un limite.
(Traduzione di Mauro Zanon)
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