Foto Epa, via Ansa

Un foglio internazionale

 Sostenendo Hamas, l'Iran cerca di instillare il caos internazionale

Per Alexis Carré, ricercatore presso l’università di Harvard, Teheran cerca di ostacolare la normalizzazione delle relazioni tra i paesi arabi e Israele e così facendo a sconvolgere l’ordine mondiale

"In medio oriente, nel Caucaso, in Africa e altrove, numerosi attori sono convinti che l’Occidente, assorbito dal sostegno all’Ucraina, abbia perso qualsiasi capacità di intervento nei conflitti interni e regionali che li coinvolgono” scrive Alexis Carré, ricercatore presso l’università di Harvard. Carré ha ricevuto quest’anno il prix Raymond-Aron pour la recherche per i suoi lavori di ricerca portati avanti all’École normale supérieure.


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“Questa convinzione è legata sia alle debolezze rivelate dalla guerra in Ucraina sia allo stato dei nostri stock di armamenti, e più ancora al sentimento che la nostra superiorità materiale, sempre schiacciante, abbia delle scarse possibilità di costituire un ostacolo politico considerevole finché la nostra capacità morale di mobilitare queste risorse sotto forma di un’azione decisiva sembrerà ridotta. Con le loro vaste ricchezze, gli occidentali certamente sono ancora in grado di facilitare o di intralciare l’azione degli altri ma sembrano immobili. Il caos che si sta producendo negli ultimi tempi vanifica ad ogni modo la speranza ampiamente condivisa di contribuire a una stabilizzazione graduale di queste regioni, senza un’azione costosa e esigente, attraverso la via pacifica della negoziazione accompagnata da aiuti e sanzioni. Con più o meno successo, questa politica consisteva, attraverso diversi strumenti, nel convincere la classe dirigente di questi stati che aveva più da guadagnare giocando al gioco di un sistema internazionale fondato su una serie di regole che decidendo di perseguire i propri obiettivi tramite vie autoritarie o violente. Mentre il corso degli eventi si accelera, questi strumenti hanno perso in un lasso di tempo sorprendentemente corto la capacità che sembravano avere di influenzare la condotta dei paesi in questione. L’apparenza di ordine che ne dipendeva ci mostra oggi la sua vacuità. Uno dopo l’altro, gli eserciti di diversi stati hanno deciso di rovesciare i governi che avevano fino a quel momento considerato che questo buon compromesso valesse di più di un processo ai loro danni. L’argomento, nella maggior parte dei casi, è stato pressoché lo stesso: col pretesto dell’assistenza, l’occidente, e in particolare la Francia, con la complicità dei governi al potere, avevano privato l’esercito della libertà d’azione necessaria all’adempimento delle proprie missioni. Grazie a questo discorso straordinariamente semplice, sono bastate le promesse di un gruppo di mercenari sotto gli ordini del Cremlino per cacciare la Francia da paesi in cui la sua presenza era fino a poco tempo fa un fatto acquisito. In medio oriente, diversi stati arabi avevano invece fatto la scelta di una normalizzazione progressiva delle loro relazioni con Israele. Questo compromesso è stato motivato dalla pressione degli Stati Uniti, ma più ancora dalla constatazione che la causa palestinese non valeva la privazione di un sostegno indispensabile dinanzi alle minacciose ambizioni regionali dell’Iran. Mentre americani e europei intraprendevano la via dell’appeasement con l’accordo sul nucleare iraniano, Israele e i paesi del Golfo avevano tutto da guadagnare dall’accantonamento delle loro divergenze in nome della loro ostilità comune verso Teheran. È in questo contesto e quello della guerra in Ucraina che bisogna leggere il ruolo che sembra aver giocato l’Iran nell’attacco del 7 ottobre. Va sottolineato che questa operazione senza precedenti ha tuttavia poche possibilità di avere un interesse militare immediato per i terroristi di Hamas o i nemici di Israele. Sul piano politico, invece, la riattivazione del conflitto, probabilmente, ha per l’Iran e il suo alleato russo il vantaggio di porre gli stati arabi dinanzi a un dilemma morale che non sfuggirà alla vigilanza delle loro popolazioni. Nessuno pensava fino a questo momento di protestare contro il fatto che questi paesi si sostituivano alla Russia per la fornitura di gas e di petrolio all’Europa. Tutelavano così i loro interessi senza dover prendere posizione. Ma permettendo a Hamas di perpetrare le sue atrocità, l’Iran si assicurava di provocare due reazioni che avrebbero certamente fatto reagire il mondo arabo. La prima era che la risposta sarebbe stata percepita come la repressione cruenta di un popolo debole e amico da parte di uno stato a cui ampie porzioni di queste popolazioni non riconoscono il diritto di esistere. La seconda che le stesse parti coinvolte nel conflitto ucraino che beneficiano de facto del sostegno materiale dei paesi arabi si sarebbero precipitate in soccorso dell’“oppressore sionista”.

Mentre Israele si era guardata dal prendere posizione in maniera troppo netta contro la Russia, i suoi avversari e i nostri, riattivando il conflitto israelo-palestinese, hanno esposto l’insieme dei governi della regione alla difficoltà di giustificare presso le loro popolazioni l’avvicinamento a Israele e il mancato posizionamento dinanzi al conflitto in Ucraina.

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