un foglio internazionale
Esule dall'Urss, ora deve guardarsi dal pol. corr.
Un articolo di Heli-Liis Võrno sullo Spectator mette in luce come - secondo l'autrice - il comunismo sovietico e il nuovo woke abbiamo sfaccettature simili nella gestione del dissenso
"Avevo 17 anni quando il sistema sovietico cadde nella mia Estonia. Avevo passato tutti quegli anni a padroneggiare la regola principale per sopravvivere nell’Unione Sovietica: erano necessarie due identità separate” scrive Heli-Liis Võrno sullo Spectator. “Una per la casa e le persone di cui ti fidavi, l’altra per i luoghi pubblici: sapevamo che davanti agli estranei o a certi parenti semplicemente non parlavi di alcuni argomenti. Se seguivi le regole e mantenevi separate le due identità, potevi sopravvivere e persino prosperare. Ma se confondevi i due mondi, guai a te… Sono arrivata nel Regno Unito, dopo un decennio in Asia, pienamente fiduciosa di entrare in un’altra società libera. Potevo, entro limiti ragionevoli, dire quello che volevo a chi volevo. Avere opinioni diverse, post-sovietiche, da qualcun altro non era stato un problema: discutevamo e finivamo con un compromesso o semplicemente accettavamo di non essere d’accordo. Eppure, sempre più spesso, l’occidente ha iniziato a ricordarmi il sistema che pensavo di essermi lasciato alle spalle per sempre. Naturalmente questa volta non si chiama comunismo, ma con vari nomi come ‘Diversità’, ‘Uguaglianza’, ‘Inclusione’, ‘Multiculturalismo’. Proprio come il comunismo, prende gli ideali della fratellanza umana ma poi ne aggiunge altri della tradizione individualista occidentale: diritti Lgbtq, frontiere aperte, MeToo (un pantheon completo sta diventando sempre più complesso, potenzialmente spiazzandoti in ogni momento). Come il comunismo, presenta ideali con i quali, a prima vista, è difficile non essere d’accordo: l’uguaglianza dei sessi e delle diverse etnie, per esempio – e poi costruisce con essi una sorta di religione secolare. Proprio come in Urss, c’è il problema della lingua e della realtà che nasconde. La ‘democrazia’ in Urss era l’obbligo di votare per un unico candidato scelto per te dal Partito. Per ‘governo del proletariato’ si intendeva il governo di un piccolo gruppo di lavoratori di alto rango del partito. Allo stesso modo, nella neolingua occidentale, ‘inclusività’ significa assicurarsi che chiunque non è d’accordo non sia incluso. La ‘diversità’ implica un’assoluta uniformità di pensiero. E ‘uguaglianza’ spesso significa privilegiare spudoratamente un gruppo rispetto a un altro”.
Il nonno di Heli-Liis era iscritto al Partito e non ha mai detto una parola contro il regime. Gli fu concesso di avere un nuovo appartamento, una casa estiva e un’auto. “E chiunque tu fossi, ci si aspettava che ti presentassi alle sfilate del Primo maggio, sventolassi la bandiera rossa e parlassi mai meno che entusiasticamente del Partito. Se oggi vieni ostracizzato - continua l’articolo dello Spectator - hai due scelte, come sotto il comunismo: o chiedere scusa pubblicamente e profusamente e umiliarti davanti all’ortodossia attuale, diventando almeno un alleato obbediente del movimento Blm o di quello Lgbtqia+ – oppure essere cancellato, non essere mai più visto o sentiti nominare”.
Se nei regimi comunisti la “correzione” veniva dal Partito e dai suoi adepti, in occidente oggi – sostiene Heli-Liis Võrno – chiunque si sente in dovere di correggerti se non hai le opinioni corrette su immigrazione, cambiamenti climatici, diritti dei trans, gender. Che fare? “Fare le valigie con tutte le nostre cose e trasferirci, magari di nuovo nell’Europa dell’Est, dove non devo inneggiare alle bandiere rosse arcobaleno, o correggere i miei discorsi per evitare di essere scoperta dagli Alleati Trans dal Kgb, o essere etichettata come dissidente di estrema destra. O forse dovrei semplicemente restare nel Regno Unito e godermi la sensazione di essere di nuovo a casa”.