Un foglio internazionale
Le spedizioni punitive in Francia. Senza più codici, resta l'ebrezza della barbarie
Per il pedopsichiatra Maurice Berger, dietro alla violenza gratuita c’è l’incapacità di capire cosa significa avere un legame con gli altri. L'articolo di Le Figaro
Sulle aggressioni violente commesse da bande armate in Francia, come quella che a Crépol ha ucciso il giovane Thomas Perotto, Ronan Planchon ha intervistato per il Figaro il pedopsichiatra francese Maurice Berger, autore di “Sur la violence gratuite en France” (L’Artilleur, 2019).
Le Figaro – Alla luce dei primi elementi dell’inchiesta, l’attacco contro dei giovani a margine di una festa di paese a Crépol, lo scorso 19 novembre, è secondo lei il simbolo di uno scivolamento verso una società caratterizzata da una violenza estrema e gratuita?
Maurice Berger – Non è tutta la società che diventa violenta, ma alcuni dei suoi membri. È per questo motivo che sono reticente in merito all’utilizzo del termine imbarbarimento che è troppo generale. Incolpando l’intera società, si rischia di creare una sorte di cappa che evita di indicare con precisione le caratteristiche di questi aggressori. Lo stesso vale per il termine “decivilizzazione”, tra le espressioni più inesatte che ci possano essere, perché la maggior parte di questi aggressori non sono mai stati civilizzati durante la loro infanzia. Queste espressioni, in particolar modo, portano a distogliere lo sguardo da una delle prime cause di questa violenza, ossia l’incapacità dei nostri dirigenti di imporre le misure necessarie. I politici che ci dirigono parlano di ripristino della realtà, ma l’autorità ha senso solo se è materializzata.
E’ stato preso come bersaglio un luogo di festa. I giovani autori di questi attacchi vedono la festa come un luogo ideale per manifestare la loro violenza? Perché?
L’attacco di Crépol, che non è una rissa, ma un’aggressione commessa da individui armati contro delle persone indifese, rappresenta il superamento di un limite: mettere dei vigili non armati per proteggere un luogo di festa come un matrimonio o una festa di paese diventa insufficiente. Ora, bisogna riflettere sulla necessità di mettere delle forze dell’ordine per preservare la gioiosa spensieratezza che dovrebbe regnare in questi momenti. Passiamo dalla violenza gratuita esercitata ai danni di persone isolate, uomini o donne, alla violenza gratuita esercitata da un gruppo contro un altro gruppo. Ed esistono delle differenze fondamentali tra questi due gruppi. Per il gruppo “pacifico”, il piacere è quello della convivialità, parlare e ridere assieme, cantare, ballare, mangiare. Per il gruppo che attacca, il piacere, liberatorio, consiste nell’uccidere, ferire, e vedere persino scorrere del sangue, ma anche distruggere una ricchezza relazionale che è incapace di vivere, essere inebriato dal terrore che provano gli altri. Il gruppo pacifico crea legami, la vita; il gruppo che attacca distrugge i legami, semina la morte. Rischiamo di passare in questo modo dai territori perduti della Repubblica (riferimento all’omonimo libro dello storico Georges Bensoussan sul separatismo delle banlieue multietniche, ndr) ai territori “esterni” sottomessi attraverso la violenza. La differenza è importante. I territori perduti corrispondono spesso a un funzionamento clanistico, con i suoi codici d’onore o comunitari, con delle regole collettive anche se sono assolutamente criticabili. A proposito di Crépol, si può avanzare l’ipotesi di essere di fronte a un livello di declino supplementare del pensiero individuale, a un gruppo senza organizzazione precisa, dove qualsiasi ragionamento è assente. Non ci sono più codici, resta soltanto l’ebrezza della barbarie. Il gruppo esiste soltanto nel mimetismo e nella disinibizione del “conquistare”, che conferiscono ai suoi membri uno straccio di identità. Ciò è figlio di un’educazione terribilmente lacunosa.
Sui social network, un giovane sentito nel quadro di quest’affaire ha affermato di non essere “rattristrato” dalla morte di Thomas. Dietro queste dichiarazioni, si può intravedere una totale assenza di discernimento delle nozioni di bene e di male? L’educazione è l’unica responsabile?
Mentre scrivo queste righe, non sono a conoscenza dell’età degli aggressori, della loro personalità. Posso semplicemente dire che da alcuni anni sento spesso da parte dei minorenni implicati in aggressioni gravissime la frase: “A ogni modo, sarebbe morto un giorno o l’altro”, frase che naturalmente non pronunciano mai davanti ai giudici. Uccidere, dunque, non sarebbe poi così grave, perché consisterebbe soltanto nell’accelerare un processo naturale. Questa frase va oltre l’assenza di empatia, significa incapacità di capire cos’è un legame con gli altri, il sentimento di tristezza, di perdita. Se per questi aggressori la vita degli altri non ha valore, ci si può chiedere se considerino che la loro ne abbia, e dunque in che modo siano stati cresciuti. Tali individui non sono capaci di distinguere il bene dal male, ed è la nozione di permesso e vietato che sarebbe prioritario inculcare fin dall’inizio della scuola media, non solo in termini morali, ma a partire del Codice penale: ecco ciò che si rischia se si commette questo o quel crimine.
Il Foglio internazionale