Il foglio internazionale
Cinquant'anni dopo, il messaggio di “Arcipelago gulag” è ancora attuale
Il libro usciva in Francia nel dicembre 1973. Uno dei suoi traduttori ricorda il suo ruolo nella caduta del regime comunista in Urss
Non tutti moriremo, ma tutti saremo trasformati”. Così parlava ai Corinzi litigiosi e dissoluti l’apostolo Paolo. Aleksandr Solgenitsin lo cita all’inizio della quarta parte del suo “Arcipelago Gulag”, la cui edizione francese usciva nel dicembre del 1973, esattamente cinquant’anni fa – scrive uno dei suoi traduttori, Georges Nivat, professore all’Università di Ginevra che una decina d’anni fa ha pubblicato unsaggio sullo scrittore russo. Solgenitsin – continua – si rivolge naturalmente a tutti “gli ospiti di questo inferno”, le vittime, i carnefici, i ribelli dei “quaranta giorni di Kengir”, che hanno dimostrato che non tutti si sono arresi. Si rivolge anche a tutti i sopravvissuti, le vittime consumate dal senso di colpa: perché sono sopravvissuto? E si rivolge a tutti noi, lettori passati e futuri, perché “Arcipelago Gulag” è un libro che, dall’inizio alla fine, è una sorta di lettera immensa indirizzata all’umanità, una lettera il cui destinatario non esce indenne – se la apre e la legge. Certo, si rivolge anzitutto a se stesso: perché Aleksandr Isaevic si confessa, si autoaccusa, si rivolge a Ivan Denisovic, il suo personaggio, che gli ha aperto la strada della gloria mondiale, e che lo accompagna come Virgilio accompagna Dante nella sua discesa agli inferi. E poi si rivolge anche a noi. Naturalmente ai negazionisti dei campi, che non sono mancati e non mancano. Agli increduli come Bertrand Russel o Aragon o Sartre, che non volevano far disperare Billancourt (fabbrica e fortezza operaia della Renault, simbolo del ’68, ndr), e tutti gli indifferenti che pensavano: “Sono affari loro!”, o ancora, se erano “di sinistra”: “Ad ogni modo con i russi non poteva che essere un fallimento!”. Le questioni scottanti poste oggi dai massacri di Bucha, dal kibbutz Be’eri e da Gaza in macerie, sono le stesse che ritroviamo al centro di “Arcipelago Gulag”. E Solgenitsin non è affatto un ayatollah che impone sempre la sua risposta. In “Arcipelago Gulag”, ha molte risposte, talvolta in perfetta contraddizione tra loro. Per dirla con un’espressione, la sua risposta essenziale è: “Elevazione e depravazione vanno di pari passo”. Ma come, perché? La quarta parte di “Arcipelago Gulag”, “L’anima e il reticolato”, quella che comincia con San Paolo, prolunga le grandi riflessioni filosofiche e teologiche degli stoici, di Blaise Pascal e di Goethe – su ciò che rende l’uomo un uomo, e su quando smette di esserlo. Sul lato carnefice passivo che c’è in ognuno di noi. Dostoievski, in “Memorie da una casa di morti”, apporta una risposta netta: il lato carnefice nascosto in ogni uomo può sempre risvegliarsi. Solgenitsin ha avuto la stessa difficoltà di Dostoevskij ad aprire gli occhi, lo dice e lo ripete dall’inizio alla fine di “Arcipelago Gulag”. E ciò gli dà il diritto di denunciare carnefici e burocrati, di deridere gli increduli della “grande zona” (fuori dalla piccola; quella dell’immenso arcipelago “zek”), di compiangere le vittime, i torturati, ma anche di ammirare gli eroi e i saggi, e di celebrare i veri santi che ha incontrato nei gulag (…).
E’ “Arcipelago Gulag” che ha distrutto il regime comunista in Urss? Personalmente, è quello che penso e che ho scritto. “Arcipelago Gulag” mi è sembrato il grido che ha scatenato la valanga. Le contraddizioni del regime nei confronti di Solgenitsin erano in ogni caso flagranti e hanno a loro a volta avuto un ruolo. Se l’autore di “Una giornata di Ivan Denisovic” è stato proposto per il premio Lenin, per “Arcipelago Gulag”, che è in un certo senso lo sviluppo poetico, filosofico e satirico del libro precedente, si dovette riunire il Politburo per decidere cosa fare. E si decise, in mancanza di meglio, di non rimandarlo nuovamente nell’arcipelago che conosceva così bene. L’autore fu dunque arrestato una seconda volta, gli venne tolta la nazionalità sovietica, venne proscritto e mandato in aereo in Germania, dove il cancelliere aveva dichiarato pubblicamente che lo avrebbe accolto volentieri. Non c’è dubbio che “Arcipelago Gulag” sia stato più di un libro, e più di un “saggio di investigazione letteraria”, come recitava il suo sottotitolo. Perché ha fatto la storia, e resta un testo magnifico, contagioso, anche dopo la scomparsa di quel contesto immediato (che, tuttavia, è riapparso sotto altre forme). E’ per questo che “Arcipelago Gulag”, accanto ad altri grandi libri come quelli di Vasilij Grossman e Primo Levi, potrà per molto tempo aiutare a capire chi è l’uomo e come liberare il genere umano dalla crudeltà, dal massacro, dall’organizzazione della schiavitù. E resistere. (Traduzione di Mauro Zanon)
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