Sohrab Ahmari (Foto CC Gage Skidmore from Surprise) 

Un Foglio internazionale

C'è chi vede il wokismo in ritirata negli Stati Uniti: “Una bella liberazione!”

Sohrab Ahmari è un intellettuale conservatore iraniano-americano convertitosi al cattolicesimo. Il Figaro lo ha intervistato

Sohrab Ahmari è un intellettuale conservatore iraniano-americano convertitosi al cattolicesimo. Ha fondato la rivista online Compact e il prossimo 14 marzo verrà pubblicata l’edizione francese del suo libro “Tyranny, Inc.” per le edizioni Salvator. Eugénie Bastié l’ha intervistato per il Figaro.

Le Figaro – “Il wokismo sta morendo”, ha scritto dopo l’attacco del 7 ottobre. Lei ritiene che il wokismo abbia raggiunto il suo apice e stia scomparendo. Per quale motivo?


Sohrab Ahmari – Questa è la mia ipotesi, e credo che molti dei miei compagni di destra la contesterebbero. Ma credo che ci siano chiari segnali che i democratici tradizionali e le istituzioni liberali ne abbiano abbastanza delle sciocchezze woke. Già prima del 7 ottobre c’erano degli indizi: alcuni studi avevano mostrato che l’uso di alcune parole alla moda molto pesanti, come “razzismo strutturale”, era in declino nei giornali tradizionali. Le compagnie di intrattenimento danno sempre più spesso il via libera ad artisti e progetti politicamente scorretti e mandano al diavolo gli agitatori woke. Il New York Times ha completamente ignorato una lettera di decine di scrittori che si opponevano alla sua copertura delle questioni trans perché non era abbastanza solidale. Direi che il risveglio è iniziato nel 2013 e ha raggiunto l’apice nel 2020-2021, e da allora è in discesa. Ha stancato la popolazione e preoccupato i democratici al potere. Una bella liberazione. Lei dice che anche l’antiwokismo è in declino.

Perché secondo lei? Pensa che si stia prestando troppa attenzione alla guerra culturale, a detrimento di altre questioni?

Sì, gran parte della cultura anti woke dipendeva dialetticamente dalla cultura woke. Senza l’una, anche l’altra diminuisce. La cultura è importante, e le nostre differenze culturali sono reali: spesso segnate da differenze di classe, che a loro volta si esprimono in termini culturali in un’interazione dinamica tra ideologia e realtà materiale. Ma ridurre ogni problema a woke/anti woke non risolverà nulla. La prossima ondata politica sarà probabilmente una nuova ondata di populismo, dopo la prima, emersa a metà degli anni Novanta su entrambe le sponde dell’Atlantico, e probabilmente assisteremo alla determinazione delle élite nel sedarla. La questione è come sceglieranno di combattere il populismo: terrano conto delle rimostranze degli elettori populisti su questioni come il libero scambio, l’immigrazione, l’assimilazione e così via? Oppure continueranno a cercare di delegittimarli e a imporre leggi contro i leader populisti? Quest’ultima strada è molto più pericolosa.

Trump è il leader indiscusso dei repubblicani alle prossime elezioni presidenziali. Come si spiega il suo incrollabile successo?

Ha detto delle verità proibite, cose che a noi della destra non era permesso dire: come il fatto che la guerra in Iraq è stata un disastro. O il fatto che il libero scambio ha decimato i nostri centri industriali. L’aspetto più notevole di Trump, a mio avviso, sta nel fatto che si iscrive nella tradizione di Eisenhower-Nixon del Partito repubblicano, quella che ha fatto la pace con il New Deal. Non è un radicale reaganiano. Ha promesso di proteggere i programmi di assicurazione sociale. Ha contattato i sindacati. Ha persino accennato al sostegno di un’opzione pubblica in materia di cure sanitarie

Lei viene dall’Iran e si è convertito al cattolicesimo. Uno degli choc che hanno portato alla sua conversione è stato l’assassinio di padre Hamel in Francia (assassinato da due jihadisti nel 2016 nella Chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray). Può dirci perché questo evento l’ha colpita e cambiata in questo modo? 

Non mi sono convertito al cattolicesimo per il martirio di Hamel. All’epoca ero già in catechesi. Ma l’evento – all’epoca vivevo a Londra e lavoravo come redattore per l’edizione europea del Wall Street Journal – mi ha spinto a “dichiararmi” cattolico. Ero così commosso dall’innocenza di questo anziano e gentile sacerdote, decapitato dai jihadisti, che ho creato un hashtag, #IAmJacquesHamel, sullo stile di #JeSuisCharlie, e ho annunciato che mi stavo preparando a entrare nella Chiesa romana.

(Traduzione di Mauro Zanon)

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