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I campus americani, una fabbrica di personalità e ideologie antisociali
Dopo il 7 ottobre. “Cosa possiamo fare quando le nostre migliori scuole sono invase da studenti che adorano l’antisemitismo genocida?
A meno di una settimana dai massacri del 7 ottobre, quando alcune delle più prestigiose istituzioni del mondo universitario americano si sono rivelate sotto il controllo dei rivoluzionari pro-Hamas, abbiamo scritto sul CityJournal: ‘Gli amministratori dei campus dovrebbero prendere in considerazione l’idea di apportare dei cambiamenti di vasta portata prima che il popolo americano comprenda la gravità dei loro compromessi’”. Così Tal Fortgang e Jonathan Deluty.
Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere, a cura di Giulio Meotti
“Purtroppo il messaggio non è passato. Il 5 dicembre, in quella che senza dubbio passerà alla storia come una delle pagine più vergognose della storia accademica, i presidenti di Mit, Harvard e Penn sono stati chiamati a testimoniare davanti al Congresso in un’audizione sull’aumento dell’antisemitismo nei loro campus. Le tre donne si sono rifiutate di identificare l’appello al genocidio degli ebrei come una violazione delle loro politiche istituzionali, utilizzando invece un nuovo linguaggio da consulenti, esprimendo una nuova passione per la libertà di espressione e coprendo il tutto con sorrisi altezzosi. Dal loro tono e dal loro coordinamento, è apparso chiaro che non erano lì solo per rappresentare sé stesse, ma che avevano parlato anche e soprattutto a nome dell’università nel suo complesso – un microcosmo mandarinale, insulare e pieno di sé. Per secoli le abbiamo sovvenzionate e abbiamo chiuso gli occhi sulle fabbriche di personalità e ideologie antisociali che sono diventate. Un semplice cerotto non sarà sufficiente. Di fronte a questo collasso morale, molti hanno chiesto di far cadere alcune teste. Nel momento in cui scriviamo, due dei tre presidenti si sono dimessi. I licenziamenti e le dimissioni (come l’esclusione degli studenti colpevoli di vandalismo o di occupazione di edifici) sono obiettivi immediati e necessari, ma non possono essere l’obiettivo finale. Il problema che dobbiamo affrontare è molto più profondo. È l’influenza istituzionale di un’ideologia ostile al paese stesso che la ospita. Cosa possiamo fare quando le nostre migliori scuole sono invase da studenti che adorano l’antisemitismo genocida, da insegnanti e amministratori che sono in gran parte sulla stessa linea, e da una cultura capace di produrre élite che disprezzano l’occidente con tanta arroganza? Per ottenere delle prescrizioni efficaci, il primo passo è una diagnosi accurata della malattia. Il rinnovamento del mondo accademico americano deve essere adeguato ai suoi problemi, sia in termini quantitativi che qualitativi. Perché bisogna considerare l’attuale stato dell’università americana un tema preoccupante? Semplicemente perché essa forma il nostro carattere e i nostri riflessi etici come nazione. Per molto tempo si è pensato il contrario. Si è detto che i giovani attraversano sempre fasi radicali, che finiscono per lasciarsele alle spalle una volta laureati, e che le persone serie non prendono mai abbastanza sul serio le idee più stravaganti perché si affermino nella società. Insomma, tanti errori di analisi (…). Nel contesto della guerra che imperversa nel Levante tra due gruppi etno-religiosi, c’è la convinzione che gli ebrei israeliani siano gli invasori bianchi che hanno rubato la terra agli arabi. Non importa che Israele sia in realtà il più grande successo di “decolonizzazione” della Storia, uno stato fondato dal ritorno di un popolo esiliato alla sovranità sulla propria patria. Ma per giungere a questa conclusione è necessaria una corretta analisi storica (…).
Lo stato ebraico è liberale, ricco e libero, dunque è necessariamente sfruttatore, proprio come l’occidente è stato costruito sullo sfruttamento delle popolazioni indigene e delle minoranze. Inoltre, questo goscismo “decoloniale” si fa forte di alcuni princìpi specifici. Uno di questi è che la terra appartiene ai popoli “indigeni” e che qualsiasi cosa essi possano fare per liberarla dai “colonizzatori” non indigeni è giustificata. Ciò spiega le esplosioni di gioia provocate da Hamas nei campus americani, l’idea che l’organizzazione terroristica lavorerebbe per la “liberazione con ogni mezzo necessario” e che persino i bambini ebrei uccisi o rapiti nel kibbutz vicino a Gaza siano colonizzatori che meritano tale sorte.
(Traduzione di Mauro Zanon)
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