Un Foglio internazionale
“L'odio verso gli ebrei nel mondo islamico non ha atteso la creazione di Israele”
Lo storico Georges Bensoussan risale alle origini dell’odio anti ebraico nel mondo musulmano. L'articolo sul Figaro
Le Figaro – Il massacro del 7 ottobre è stato visto da molti osservatori come la conseguenza della politica israeliana nei territori palestinesi. Si può davvero ignorare questo legame, tanto più che, fino al 7 ottobre, Benyamin Netanyahu sembrava giocare la carta dello stallo?
Georges Bensoussan – Pensare di poter liquidare la questione palestinese con gli accordi di Abramo è stata cecità politica, per non dire cinismo. Tuttavia, ci piacerebbe pensare che il massacro del 7 ottobre abbia un legame diretto con la politica israeliana perché rientra nei canoni della ragione occidentale, la quale trova una motivazione semplice al massacro: l’occupazione dei territori palestinesi. Anche se il territorio di Gaza è libero dall’occupazione da diciannove anni. Come se, prima dell’occupazione del 1967, lo stato di Israele fosse stato accettato dal mondo arabo. Il riconoscimento della nazione israeliana da parte dell’Egitto e in seguito della Giordania è stato il risultato di un equilibrio di potere. La natura gelida di questi accordi di pace evidenzia la difficoltà per la psiche di gran parte del mondo arabo-musulmano di accettare la nazione ebraica. Ora che l’inversione della realtà è al suo culmine, vale la pena ricordare che fin dalla sua fondazione lo stato ebraico ha affrontato una minaccia esistenziale come nessun altro stato al mondo. La “soluzione dei due stati” sembra da molto tempo la più ragionevole. Se non fosse che è già stata proposta cinque volte e cinque volte rifiutata dalla parte araba: 1937 (piano Peel), 1947 (risoluzione delle Nazioni Unite), 2000 (Camp David), 2001 (Taba) e 2008 (piano Olmert). Nel 1947-1949, la Giordania, con la complicità di Londra, ha impedito la nascita dello stato arabo di Palestina previsto dalle Nazioni Unite e annesso il territorio palestinese della Cisgiordania. Tra il 1949 e il 1967, lo stato di Palestina avrebbe dovuto essere proclamato in Cisgiordania e a Gaza (amministrata dall’Egitto), senza l’ombra della minima presenza israeliana. Ma così non fu, e la Lega araba avallò la situazione. Nel 1949, alla fine della prima guerra arabo-israeliana, tre quarti dei rifugiati palestinesi rimasero all’interno dei confini della Palestina mandataria, ma vennero parcheggiati in dei campi benché fossero “a casa loro”. Nel 1949, solo la Giordania concesse la cittadinanza e il permesso di lavoro a questi rifugiati. Né il Libano, né la Siria, né l’Egitto acconsentirono. Mantenere i rifugiati nel loro status di rifugiati da 80 anni significa mantenere un ostacolo, perché accettare uno stato palestinese significherebbe de facto riconoscere lo stato di Israele. Per questo motivo la parte araba ha rifiutato ogni offerta dal 2000. Inoltre, a causa dei ripetuti rifiuti, questa tragedia è ora aggravata da un messianismo ebraico che i padri fondatori del sionismo volevano, giustamente, tenere a distanza.
Le Figaro – Lei sottolinea che le rivolte della piazza araba contro gli ebrei sono iniziate fin dai tempi dell’Impero ottomano. Tuttavia, è a partire dagli anni Venti del Novecento che l’antico rifiuto degli ebrei nei paesi arabi ha assunto una dimensione islamica. Come e perché è avvenuto questo cambiamento?
Georges Bensoussan – Le prime manifestazioni anti ebraiche nel mondo arabo sono concomitanti all’avvento dell’islam, con il massacro delle tribù ebraiche di Medina. L’Impero ottomano, invece, tendeva a perseguire una politica di pacificazione nei confronti delle minoranze ebraiche. La questione non è tanto il rifiuto dell’ebreo nel senso cristiano del popolo deicida, quanto piuttosto l’economia psichica dell’islam ortodosso, secondo cui l’ebreo non può essere considerato alla pari e rimane un soggetto tollerato, ma di status inferiore (…). È alla metà degli anni Venti del Novecento che il rifiuto del sionismo assume una dimensione islamica sotto la guida del Gran Muftì di Gerusalemme, Amin al-Husseini (…). È mobilitando la umma islamica che il Muftì ha iniziato la lotta contro il sionismo, e questo spiega la svolta islamica nella lotta anti sionista in Palestina.
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