un foglio internazionale
Occidente, nemico comune
Jean-François Colosimo spiega che non è una nuova guerra mondiale che si sta delineando: è la prima guerra globalizzata a essere iniziata
"Perché l’Europa sta perdendo influenza dopo un lungo periodo di egemonia?” scrive La Vie. “Perché il nostro continente è ora esposto alla minaccia di una guerra? In una situazione geopolitica inedita e preoccupante, queste domande offrono spunti di riflessione a molti saggisti contemporanei. Tra questi, il teologo, storico ed editore Jean-François Colosimo, che ha pubblicato un’opera molto originale: “Occident, ennemi mondial n°1” (Albin Michel). Il testo si concentra su uno dei fattori principali e poco studiati della crisi attuale: il riemergere di una logica imperiale, come quella che si vede all’opera in Russia ma anche in altri paesi, tutti contrapposti a un occidente indebolito che avevano a lungo cercato di imitare. È qui che si nasconde una minaccia esistenziale per l’Europa che pochi vedevano arrivare solo due anni fa, prima che Vladimir Putin decidesse di invadere l’Ucraina. Trentacinque anni dopo la caduta del Muro, tutte le profezie sulla fine (felice) della storia, sulla globalizzazione (anch’essa felice) e sul commercio internazionale che ci unisce in un vasto movimento di pace universale sono state spazzate via: “Al contrario, la storia sta esplodendo e le civiltà stanno implodendo”, riassume l’autore. Per lui, “non è una nuova guerra mondiale che si sta delineando, è la prima guerra globalizzata a essere iniziata”. Il suo approccio descrittivo al declino europeo si differenzia da quelli perentori che sentiamo più spesso e che si concentrano sui fattori interni di quello che viene comunemente chiamato occidente. Il primo consiste nel credere in una sorta di ineluttabilità dell’“occidentalizzazione” del mondo: le democrazie liberali e l’economia di mercato sono intrinsecamente superiori ad altri regimi. Quindi non dobbiamo fare altro che aspettare.
Questa idea sembra essere contraddetta dai fatti, poiché il numero di democrazie è in calo. L’altro approccio, invece, si basa sulla convinzione che il declino civile dell’occidente avverrà in ogni caso. È da più di un secolo che gli intellettuali annunciano la fine della nostra civiltà. Già nel 1923, quando il Regno Unito e la Francia da soli dominavano ancora un terzo del pianeta, il filosofo tedesco Oswald Spengler aveva dato il tono con il suo saggio “Il declino dell’occidente”. Nella sua visione quasi biologica, tutte le civiltà funzionano come organismi che nascono, maturano e muoiono. La loro fine è, in un certo senso, programmata. La sua tesi è stata e rimane discussa e criticata, e ha ispirato molti altri. Ad esempio, lo storico britannico Arnold Toynbee e la sua monumentale opera “Study of History”, pubblicata tra il 1934 e il 1961, in cui confronta l’evoluzione delle civiltà mondiali. La sua famosa frase “le civiltà muoiono per suicidio, non per omicidio” riassume una delle sue idee chiave: le cause del collasso sono per lo più interne. In questo concorda con Spengler, ma vede comunque una soluzione: l’occidentalizzazione forzata del mondo...Più vicino a noi, lo storico belga David Engels ha appena pubblicato “Défendre l’Europe civilisationnelle” (Salvator). In esso propone una Difesa europea, una “riconfigurazione dell’identità” e un ritorno alla fede nella trascendenza, senza la quale la civiltà europea non avrebbe un vero fondamento. Ma per questo “spengleriano”, la nostra civiltà sta comunque raggiungendo il suo “stadio finale” e la sfida è quella di rimandare la fine. I segnali d’allarme che l’Europa sta vivendo, tutti dovuti a fattori interni come l’indebolimento della fede, il declino demografico, la polarizzazione sociale, il populismo e le migrazioni di massa, “fanno parte del repertorio standard di ogni epoca tardiva”, afferma. Sebbene questi segnali di declino siano chiari e come molti altri osservatori ritenga necessario un “riarmo” morale e militare, Colosimo contesta il determinismo storico. E spiega perché cinque grandi paesi – Russia, Turchia, Iran, Cina e India – sono diventati “neoimperi”, approfittando del disordine imperante e usando la religione come combustibile. A suo avviso, questi “revival imperiali e religiosi” si basano su narrazioni identitarie, spesso inventate, che evocano il loro glorioso passato, ma anche su ciò che hanno percepito, con invidia e ammirazione, delle nazioni europee durante i cinque secoli in cui queste ultime hanno dominato il mondo, grazie alla loro tecnologia, alle armi e alla scienza, ma anche alla schiavitù e al colonialismo. Il grande paradosso è che si sono così “occidentalizzati”, ma senza adottare la democrazia. Colosimo evita due trappole nella sua riflessione sul comportamento predatorio dei paesi europei nel corso dei secoli: difendere o sminuire questo comportamento, ma anche l’atteggiamento di pentimento che consiste nel puntare il dito contro “l’occidente” come causa di tutte le nostre disgrazie. È ancora più facile capire come, dopo il fallimento dei paesi europei e soprattutto degli Stati Uniti nel mantenere l’ordine internazionale imposto dopo la Seconda guerra mondiale, e dopo il crollo dell’Unione Sovietica, questi “neoimperi” cerchino ora di vendicarsi, denunciando l’“occidente” come “predatore e perverso, malvagio e manipolatore”. Autoritari o dittatoriali, praticanti i crimini che denunciano, armati di una retorica manichea a volte religiosa o fondamentalista, questi regimi sono tanto più pericolosi in quanto prendono di mira paesi democratici e non sufficientemente armati. La sua analisi è doppiamente originale in quanto mette in discussione la nozione stessa di occidente. In un capitolo magistrale intitolato “L’occidente immaginario”, Colosimo mostra come il termine che si riferisce alla “terra del tramonto” sia stato trasformato nel corso della storia moderna per designare un orientamento neutro ma impreciso (“l’ovest”). Nel Diciannovesimo secolo, l’occidente era associato in Europa a una particolare “missione civilizzatrice”, soprattutto in termini di colonizzazione. Nel Ventesimo secolo, invece, l’occidente si è imposto come termine che incarna un modello democratico e liberale, piuttosto anglosassone. Tuttavia, per Colosimo, i paesi definiti occidentali non hanno in realtà le stesse caratteristiche. Gli Stati Uniti, in particolare, si distinguono come una “repubblica imperiale (...) in equilibrio tra imperialismo liberale e nazionalismo universalista, mescolando messianismo e millenarismo”, interventista e soggiogatrice dei suoi alleati. Per questo si attira particolari antipatie. “Eppure, ed è questa la tragedia dell’Europa, gli Stati Uniti hanno un aspetto simile a quello dei loro aggressori”, afferma l’autore. A suo avviso, dobbiamo uscire da questa “finzione” occidentale che ci tiene bloccati. E suggerisce, in uno slancio gollista, che la Francia, unico membro dell’Unione europea a possedere l’arma nucleare, potrebbe “riarmare il suo potere”, “ridistribuire la sua influenza”, “senza allinearsi a nessun altro”, “attestando il servizio dell’universalità al di fuori del quale non sa più chi è”.
(Traduzione di Mauro Zanon)
Il Foglio internazionale