L'Ayatollah Ali Khamenei (foto Ap, via LaPresse) 

Un Foglio internazionale

L'Iran è ancora un pericolo

Anche se indebolito dall’interno, a causa della spaccatura tra popolazione e mullah, il regime mantiene un forte rapporto con tutti i gruppi terroristici

Dopo l’uccisione di Ismail Haniyeh, leader politico di Hamas, a Teheran, Emmanuel Razavi, giornalista francese di origini iraniane, autore del libro “La face cachée des Mollahs” (Cerf), analizza il comportamento del regime iraniano nei confronti di Israele e dell’occidente. L’intervista, di Alexandre Delvecchio, è uscita sul Figaro del 2 agosto.

Le Figaro – Il fatto che il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, sia stato ucciso a Teheran è secondo lei simbolico?

Emmanuel Razavi – Per comprendere il significato simbolico dell’azione di Israele contro Haniyeh, occorre ricordare che la Repubblica islamica d’Iran è uno degli sponsor di Hamas. La forza al-Quds, l’unità d’élite incaricata delle operazioni esterne del corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche, che è il braccio armato del regime iraniano, ha addestrato centinaia di jihadisti palestinesi di Hamas e del jihad islamico ben prima del 7 ottobre. Li ha anche riforniti di armi. E’ chiaro che Israele abbia fatto un doppio colpo uccidendo un leader terrorista sul territorio del suo sponsor. Questo dimostra che i servizi segreti israeliani sono perfettamente informati su ciò che accade nel cuore della Repubblica islamica e che sono in grado di effettuare un attacco mirato alle infrastrutture del regime. Il luogo in cui Ismail Haniyeh è stato ucciso in Iran appartiene infatti alle Guardie rivoluzionarie, il che fa pensare che il Mossad abbia ottenuto informazioni da fonti iraniane.

E’ anche un modo da parte di Israele di inviare un messaggio all’Iran?

E’ un messaggio alla Guida suprema della Repubblica islamica dell’Iran, Ali Khamenei, per avvertirlo che potrebbe essere il prossimo sulla lista. Khamenei aveva un rapporto speciale con Ismail Haniyeh. Come il leader di Hamas, Khamenei, pur essendo sciita, si ispira alle teorie dei Fratelli musulmani, organizzazione sunnita. E’ infatti il traduttore dei libri di Sayyid Qutb, uno dei teorici della confraternita islamista. Nel 1989, quando succedette all’ayatollah Khomeini, Khamenei arrivò a imporre l’insegnamento dei testi di Qutb nelle scuole di formazione delle Guardie rivoluzionarie islamiche. Per i jihadisti di Hamas, il ramo palestinese dei Fratelli musulmani, la Repubblica islamica d’Iran era quindi considerata un santuario. Ora i mullah, così come i dignitari terroristi che ospitano, sanno di non avere un posto dove nascondersi.

C’è un rischio di escalation a breve termine? Contestato dall’interno, Khamenei è più fragile di quanto sembri? Come risponderà il regime dei mullah?

Il rischio di un’escalation c’è, soprattutto perché Ali Khamenei ha promesso a Israele una “severa punizione”. Ritiene che i servizi di difesa e di sicurezza iraniani siano stati umiliati e che l’Iran debba vendicarsi. Tuttavia, una fonte molto vicina al regime iraniano mi ha recentemente spiegato che la Repubblica islamica è “sull’orlo del caos” e che non ha le risorse per una guerra frontale con Israele. Secondo questa fonte, la sua capacità militare in caso di conflitto non supererebbe le sei-otto settimane. La Repubblica islamica sta affrontando una serie di crisi che la stanno indebolendo. Innanzitutto, c’è una protesta popolare molto diffusa e una crisi economica senza precedenti, con un’inflazione superiore al 40 per cento e quasi la metà della popolazione che vive sotto la soglia di povertà. Infine, all’interno del regime stesso, ci sono dissensi e regolamenti di conti tra le diverse correnti. Alcuni non credono più nel regime e fanno trapelare informazioni sensibili, come ho scoperto durante le mie indagini per Paris Match e la stesura del mio libro. Questo probabilmente spiega perché il Mossad ha sfruttato le indicazioni provenienti dallo stesso sistema di sicurezza iraniano. La Repubblica islamica, in realtà, può resistere solo attraverso la repressione, il ricatto degli ostaggi e le azioni terroristiche. I mullah reagiranno alla morte di Haniyeh, questo è certo. Ma a modo loro. Secondo le mie fonti iraniane, possono lanciare operazioni contro gli interessi israeliani o le organizzazioni ebraiche all’estero. Possono operare attraverso i loro proxy e la forza al-Quds, che ha agenti in grado di organizzare attacchi in medio oriente e in Europa. Possono anche riprodurre un attacco dello stesso tipo di quello compiuto contro Israele in aprile.

A lungo termine, secondo lei, la guerra è inevitabile, soprattutto se Donald Trump tornerà alla Casa Bianca? Non c’è il rischio che il popolo iraniano si mobiliti a favore del regime?

Una conflagrazione in medio oriente è più che mai possibile, anche se nessuno dei protagonisti la vuole. La Repubblica islamica d’Iran rappresenta un pericolo costante, soprattutto per Israele. Mantiene forti legami con tutte le organizzazioni terroristiche islamiche sciite e sunnite che minacciano lo Stato ebraico. Ospita anche combattenti di al-Qaeda, come ho descritto nel mio libro. Trump ritiene che Joe Biden sia stato troppo debole con i mullah e vuole porre fine ai suoi compromessi con l’Iran. Quanto al fatto che gli iraniani si uniscano dietro al regime in caso di conflitto, non credo sia possibile. C’è una grande spaccatura sociologica e generazionale tra la popolazione iraniana e i mullah. Bisogna sapere che l’età media in Iran è di 32 anni. I giovani aspirano alla pace, alla libertà, alla democrazia e a relazioni pacifiche con Israele. Inoltre, esiste un’opposizione sia all’interno che all’esterno del paese. Il principe Reza Pahlavi, che ne è il principale leader, ha una visione a lungo termine per l’Iran e il medio oriente e sta unendo sempre più iraniani. Ci sono anche persone che stanno emergendo dai repubblicani di sinistra e dai liberali che possono lavorare al suo fianco. Queste personalità stanno costruendo un’alternativa.

Oltre allo scontro tra Israele e Iran, esiste uno scontro tra l’islamismo e l’occidente? Indebolito dall’interno, il regime punta sull’esportazione dell’islamismo, in particolare in Francia?

Nel 1979, Khomeini ha invocato un “jihad globale”. Oggi, alcuni chierici attorno ad Ali Khamenei ritengono che sia giunto il momento dello scontro con l’occidente. Ritengono che le democrazie occidentali stiano attraversando gravi crisi sociali, economiche e “morali”. Cercano quindi di sfruttare le loro debolezze per destabilizzarle. In Francia, così come in Spagna e nel Regno Unito, il regime iraniano utilizza agenti di influenza e spie che lavorano per la forza al-Quds, spesso con collegamenti alla rete di ambasciate e fondazioni culturali iraniane. Dal 7 ottobre, la loro missione è stata quella di propagare un linguaggio favorevole a Hamas nelle nostre università e nei circoli di estrema sinistra, infiltrandoli. Uno di questi agenti, Bashir Biazar, installato a Digione, è stato arrestato ed espulso qualche settimana fa. Nel mio libro spiego come operano le reti di influenza iraniane in Europa. Credetemi, la Repubblica islamica d’Iran, anche indebolita, rappresenta un pericolo per le nostre democrazie.

 

(Traduzione di Mauro Zanon)

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