Un Foglio internazionale
Da Je suis Charlie a Hamas
Che cosa è successo in un anno in Francia? Come hanno potuto gli antirazzisti, i difensori della laicità e la sinistra soccombere a chi pratica il terrorismo?
"Che cosa è successo? Come hanno potuto gli antirazzisti, i difensori della laicità e i repubblicani di sinistra soccombere a forze religiose, politiche e ideologiche liberticide, razziste e violente, che propugnano e praticano il terrorismo?”, si domanda sulla Revue des Deux Mondes Christian Authier, scrittore e giornalista nato a Tolosa, che analizza il passaggio in Francia da un atteggiamento di solidarietà verso le vittime degli attentati terroristici del 2015 (“Je suis Charlie”) al sostegno ai movimenti islamisti radicali come Hamas da parte di alcune correnti della sinistra. Authier denuncia un cambiamento ideologico segnato dalla comparsa di un nuovo antisemitismo. Nel 2014, ha pubblicato “Soldats d’Allah” (Grasset), nel quale racconta la parabola di Olivier, 22 anni, che si converte all’islam e con alcuni compagni si lancia in rapine e azioni spettacolari, fino alla fuga verso i Balcani per fare il jihad.
Nel 2022, Authier ha consacrato un libro allo scrittore contemporaneo francese più conosciuto al mondo, “Houellebecq politique” (Flammarion), analizzando le sue idee politiche e le sue prese di posizione controcorrente sulla società. «In altre parole, come possono i progressisti diventare ferventi alleati dell’islamismo, anche nella sua versione sterminatrice? È questo il mistero e la sfida posta alla ragione da questo cambiamento avvenuto in Francia in una manciata di anni, dagli attentati a Charlie Hebdo e all’Hyper Cacher del gennaio 2015 ai massacri di massa commessi da Hamas in Israele nell’ottobre 2023 (per prendere due date simboliche). In sintesi: come siamo passati da “Je suis Charlie” a “Je suis Hamas”? Questa metamorfosi è inseparabile dalla comparsa di un nuovo antisemitismo. Certo, ci sono stati segnali d’allarme e precursori nel passato che, in nome dell’anticolonialismo, dell’antimperialismo o dell’antisionismo, hanno approvato o giustificato il terrorismo (Jean-Paul Sartre nella prefazione ai “Dannati della terra” di Frantz Fanon che invitava a uccidere gli europei in Algeria, Jean Genet che appoggiava il terrorismo palestinese, il giovane Edwy Plenel che esprimeva il suo sostegno all’organizzazione Settembre nero responsabile degli attentati alle Olimpiadi di Monaco), ma il fattore religioso era all’epoca assente e soppiantato dalla mobilitazione a favore dei movimenti di “liberazione nazionale”. Un cambiamento notevole si è verificato con Michel Foucault, che si entusiasmò per la rivoluzione islamica in corso in Iran nel 1979. Il brillante intellettuale, rapido nello sviscerare le norme repressive delle democrazie, si schierò con la dittatura religiosa dei mullah senza vedere l’inizio di una contraddizione.
Ancora più rivelatrice fu l’evoluzione del filosofo e politico comunista Roger Garaudy, passato dal marxismo ortodosso alla negazione del genocidio ebraico con la pubblicazione nel 1995 del suo libro “Les Mythes fondateurs de la politique israélienne”. In precedenza si era convertito all’islam, nel 1982, pur rimanendo allo stesso tempo fedele al suo comunismo originario. Per quanto sconcertanti e scioccanti, queste posizioni rimasero ultra-marginali e potevano essere considerate come eccessi individuali o come quelli che oggi chiamiamo “scivoloni”. La stragrande maggioranza della sinistra e dell’estrema sinistra rimaneva intrinsecamente e visceralmente legata alla laicità, mentre per molti di loro le religioni non erano altro che “l’oppio dei popoli”. La portata e la rapidità dell’inversione di tendenza sono evidenti, sebbene, anche in questo caso, ci sia stato un terreno di coltura, un processo di infusione, un graduale cambiamento di atteggiamento. Le prime polemiche sull’uso del velo nelle scuole nel 1989 e negli anni successivi segnarono l’irruzione spettacolare della questione islamica nel dibattito pubblico e politico. Semplice adattamento a nuovi costumi, adozione di un modello liberale anglosassone più rispettoso delle minoranze, penetrazione di un comunitarismo contrario ai princìpi repubblicani, strategia deliberata di un islam politico conquistatore: conosciamo tutti le principali analisi di una polemica che continuerà a essere alimentata da burqa, burkini, abaya e altre offensive (contestazione di alcune materie insegnate nel sistema educativo francese, tra cui l’Olocausto, richiesta di menù halal nelle mense, messa in discussione della mixité, etc.).
Parallelamente all’emergere dell’islam nella società e nello spazio politico, intorno al 2000, la Francia ha assistito alla comparsa di un nuovo antisemitismo (in particolare attraverso attacchi a persone e luoghi di culto), aggravato dagli attentati dell’11 settembre 2001 e dalle loro conseguenze geopolitiche. Pierre-André Taguieff ha analizzato il fenomeno molto presto nel suo libro “La Nouvelle Judéophobie”. Anche su questo fronte le dighe stavano per saltare. Le generazioni nate dopo il 1945 e lo sterminio degli ebrei, educate dalle scuole della Repubblica al “dovere di memoria” e dalla visione di “Nuit et Brouillard” (documentario del 1956 del regista Alain Resnais, che ricostruisce i crimini commessi dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale, ndr) a partire dalle scuole medie, hanno scoperto all’inizio del Ventunesimo secolo un antisemitismo new-look, proveniente in gran parte da giovani di origine nordafricana o sub-sahariana. Il vecchio antisemitismo (ultracattolico, vichysta, fascista, neonazista...) è sopravvissuto (iniettato nella sfera mediatico-politica dalle ricorrenti provocazioni e dalle dichiarazioni oltraggiose di Jean-Marie Le Pen), ma è ormai residuale e sostituito da un odio fresco come la rugiada del mattino. Crimini e attentati testimoniano questa tendenza di fondo: dalla “gang dei barbari” nel 2006 (che rapì, torturò e uccise Ilan Halimi, ragazzo ebreo di origini marocchine, ndr) all’attacco di Mohammed Merah alla scuola ebraica di Ozar-Hatorah sei anni dopo, e tanti altri crimini sanguinosi nel corso degli anni.
(Traduzione di Mauro Zanon)
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