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Un Foglio internazionale

Draghi d'Europa

Dinanzi al declino del continente e alle minacce esterne, scrive Nicolas Baverez, l’ex presidente della Bce spinge l’Unione a un sussulto di orgoglio e dinamismo 

"Dinanzi alla moltiplicazione degli choc, alla minaccia rappresentata dagli imperi autoritari, alla frammentazione e alla militarizzazione della globalizzazione, l’Europa sta brutalmente perdendo terreno”, scrive Nicolas Baverez, editorialista del Figaro. Il suo ultimo libro è “Démocraties contre empires autoritaires. La liberté est un combat”. “I tre pilastri su cui ha basato il suo sviluppo dopo la caduta dell’Unione Sovietica e del sovietismo – energia russa a basso costo, liberalizzazione degli scambi, disarmo e delega della propria sicurezza agli Stati Uniti – sono diventati obsoleti. L’Europa si scopre vulnerabile, stretta tra il rilancio industriale degli Stati Uniti, da cui dipende per l’energia, la tecnologia, la difesa e la finanza, il dumping della Cina, che le fornisce beni essenziali, e la minaccia esistenziale della Russia. Allo stesso tempo, i modelli economici e sociali delle sue principali nazioni sono tutti in crisi, che si tratti del mercantilismo tedesco, della decrescita a credito francese, del malthusianesimo italiano o della monoindustria turistica spagnola. L’Europa sta quindi arrancando rispetto ai giganti che si contendono la leadership della storia universale.

Dall’inizio del secolo, la crescita è stata inferiore di un terzo rispetto agli Stati Uniti. Il reddito reale disponibile è cresciuto della metà rispetto all’America. La sua quota nel commercio mondiale è scesa dal 16 al 13 per cento, mentre quella della Cina è aumentata di 13 punti percentuali. L’Europa possiede solo quattro delle cinquanta aziende tecnologiche più importanti del mondo e un terzo dei suoi unicorni si è trasferito all’estero, soprattutto negli Stati Uniti. La causa principale di questo declino va ricercata nella stagnazione della produttività. Che si spiega con la scarsità di investimenti (16,5 per cento del pil rispetto al 18 per cento degli Stati Uniti), la carenza di manodopera qualificata, l’eccesso di regolamentazione che uccide l’innovazione (l’Ue ha prodotto 13.000 leggi tra il 2019 e il 2024 rispetto alle 3.500 leggi degli Stati Uniti) e la frammentazione del mercato unico che si traduce in una sovrapposizione di norme e autorità di regolamentazione. A ciò si aggiungono i costi dell’energia, da due a tre volte superiori a quelli degli Stati Uniti, e le difficoltà di finanziamento indissociabili dall’esportazione di 300 miliardi di euro all’anno oltreoceano. 

Nel prossimo futuro dovremo fare delle scelte difficili tra il nostro tenore di vita, la transizione climatica, la conservazione del nostro modello sociale, la sicurezza e la sovranità. E’ quindi urgente che l’Europa torni a crescere, condizione indispensabile per la sua prosperità e per la sopravvivenza della democrazia. Per farlo, non ha altra scelta che reinventarsi. 
Mario Draghi ha avanzato una riflessione sul tema, forte della sua legittimità di salvatore dell’euro nel 2012 e di provvidenziale modernizzatore dell’Italia nel 2021. Le conclusioni e le raccomandazioni di Draghi sono chiare e realistiche e pongono la responsabilità sulle spalle dei leader e dei cittadini europei. L’Europa continua a disporre di notevoli vantaggi per rimediare al suo declino e affrontare le sfide della crescita, della sostenibilità del suo modello sociale e della difesa del continente e dei suoi valori: un’economia aperta, un alto grado di concorrenza, una politica attiva di coesione e solidarietà, un’ambiziosa strategia di transizione ecologica e un grande mercato governato dallo stato di diritto. Ma deve ancora colmare il suo deficit di produttività e innovazione. 

Secondo Mario Draghi, l’Europa deve darsi sette priorità. Incoraggiare le innovazioni rivoluzionarie aumentando e coordinando gli sforzi di ricerca, semplificando le normative (Csrd, Cs3d, Dma, Dsa, Ia Act porteranno alla scomparsa del 15-20 per cento delle aziende tecnologiche del continente) e riformando le regole della concorrenza per consentire la comparsa di campioni globali. Reintegrare la conservazione dell’industria nella traiettoria di decarbonizzazione introducendo una pianificazione settoriale – per evitare di ripetere la débâcle del settore automobilistico causata dal passaggio a veicoli elettrici senza apparecchiature plug-in, senza rafforzare le reti e senza elettricità decarbonizzata – e creando un’Unione dell’energia con l’obiettivo di ridurne il suo costo. Rafforzare la sicurezza e ridurre la dipendenza controllando le materie prime. Costruire una base industriale per la difesa consolidando il settore, stabilendo un principio di preferenza europea e uno sforzo di investimento specifico nel settore spaziale. Avviare un massiccio piano di investimenti finanziato con prestiti tra i 750 e gli 800 miliardi di euro all’anno, con l’obiettivo di aumentare la produttività del 6 per cento in quindici anni. Creare un’Unione dei mercati dei capitali unificando la regolamentazione finanziaria e facendo convergere i sistemi fiscali. Migliorare la governance dell’Unione concentrandosi sulle sue missioni fondamentali, accelerando il processo decisionale e rendendo il voto a maggioranza qualificata la regola generale.

 L’Unione europea si trova di fronte a un momento di verità. Il decennio 2020-2030 deciderà il suo futuro, con tre possibili esiti: la diluizione in una grande entità nordamericana; la disintegrazione a seguito dell’esplosione dell’euro e del mercato unico da un lato e della ricostituzione dell’impero esterno da parte della Russia dall’altro; la costruzione di una potenza europea che si affermi come attore a pieno titolo del Ventunesimo secolo. 

Facendo seguito alla relazione di Enrico Letta sul mercato unico, Mario Draghi espone la visione e la strategia per riposizionare l’Europa di fronte agli imperi e ai giganti del Ventunesimo secolo. Il suo grande disegno è perfettamente concepito. Tuttavia, si scontra con ostacoli minacciosi che mettono in dubbio la sua capacità di realizzarlo: la pesantezza e l’inefficienza cronica delle istituzioni europee, illustrate dal piano di rilancio Next Generation Ue lanciato nel 2020, di cui è stato utilizzato solo un terzo dei 750 miliardi di euro; il rifiuto degli stati membri di mettere in comune il nucleo delle loro strategie di sviluppo e dei loro sistemi finanziari; l’ascesa dei populisti e degli estremisti; la paralisi della Germania e il crollo della Francia. Il futuro dell’Unione dipende più che mai dalla situazione delle sue grandi nazioni e dalla loro capacità di superare la grave crisi in cui si trovano. Per creare l’Europa-potenza, dobbiamo innanzitutto ricostruire la Germania, la Francia e l’Italia, stabilizzando la Polonia e riagganciando il Regno Unito all’Unione.

 

(Traduzione di Mauro Zanon)

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